La sfida di Pareschi «Non chiederò più il Green pass per il Caribe Bay»

JESOLO
Niente Green pass, Luciano Pareschi, in accordo con alcuni parchi tematici italiani, ha ieri preso la decisione dopo varie videoconferenze fiume con i tanti colleghi sparsi in Italia. E al Caribe Bay non ha chiesto la certificazione all’ingresso dopo il primo giorno in cui è stata introdotta venerdì. In questi giorni, dunque, non chiederà più il certificato verde salvo ulteriori decisioni e informazioni da Roma. Il primo giorno, infatti, gli ingressi erano calati del 50-60 per cento nei parchi nazionali che hanno vissuto la stessa impossibilità di controllare gli ingressi a partire dai 12 anni, con code e rinunce. Pareschi era ieri, come tutti i giorni, al parco a tema acquatico del lido dove macina chilometri tutti i giorni per controllare ogni attrazione, spettacolo intrattenimento.
Sono 80 mila metri quadrati di piscine e scivoli, locali, zone relax, spiagge bianche ornate di palme tropicali e addirittura onde fino a riva.
«Non è andata bene assolutamente a me e ai parchi d’Italia», commenta all’ingresso del vasto parco che è il più premiato in Italia, «direi una debacle: abbiamo perso dal 50 al 60 per cento in tutti i grandi parchi d’Italia. C’è stata improvvisazione finora e a queste condizioni forse è meglio chiudere tutti. Siamo in chat di continuo per scambiare opinioni e interpretazioni anche con i legali» . E, tutti assieme, hanno svelato l’arcano. «Non abbiamo probabilmente osservato bene che il decreto 105 del 2021, sulle misure urgenti per fronteggiare la pandemia, parla di parchi tematici e divertimenti, non parchi acquatici e difatti le piscine all’aperto non hanno bisogno di Green pass e così anche nelle terme che hanno i parchi acquatici all’interno non serve il Green pass. Alle terme, oltretutto, c’è ancora più vicinanza tra le persone, negli idromassaggi o nelle saune, rispetto a 80 mila metri quadrati di parco come il nostro. E ci sono anche i campeggi, che pubblicizzano parchi acquatici al loro interno. Anche loro non hanno bisogno di green pass per entrare. Ci muoveremo a livello di Ministero», prosegue, «per capire questa differenza, molto probabilmente abbiamo interpretato noi male la norma. Siamo stati penalizzati già altre volte, con contributi e rimborsi irrisori, ma non è questo che voglio guardare. Ho 200 persone che lavorano e siamo abituati a produrre, non a chiedere. A parte che quello che ci hanno dato sono solo delle elemosine». «Il Green pass», conclude, «doveva essere pensato meglio, visto che facciamo come in Europa. In Francia, ad esempio, si chiede a chi ha 18 anni e non a partire dai 12 anni. È chiaro che una famiglia qui non può entrare. Un ragazzino di 13 o 14 anni non ha fatto il vaccino e non tutti i genitori vogliono far fare il tampone ai giovanissimi». —
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