La rabbia vince sulla pioggia In mille al Corso: «Più lavoro»

In platea i rappresentati di Aprilia e delle molte aziende in crisi. Tanti i pensionati e pochi i giovani Montagner (Cgil): «Un governo così non serve». Colamarco (Uil): «Salviamo il settore crocieristico»
Di Francesco Furlan
Sciopero generale lavoratori CGIL CISL UIL Venezia Teatro Corso, Mestre
Sciopero generale lavoratori CGIL CISL UIL Venezia Teatro Corso, Mestre

La mappa della protesta è negli striscioni appesi alle pareti del teatro Corso: ci sono quelli portati dai lavoratori dell’Aprilia, della Safilo, della Bettio e della Siriam, ci sono quelli del centro di meccanizzazione postale, le dipendenti delle piccole aziende del settore calzaturiero della Riviera del Brenta e poi, con le bandiere e i cappelli rossi e bianchi, tanti pensionati, a riempire le prime file. Sono oltre mille i lavoratori che alle 9 di ieri si ritrovano al cinema-teatro di Corso del Popolo, dopo che la pioggia ha mandato all’aria il corteo che partendo da via Torino si sarebbe dovuto concludere con il comizio in piazza Ferretto per lo sciopero generale di quattro ore indetto a livello nazionale da Cgil, Cisl e Uil contro la Legge di stabilità del governo dalle larghe intese ma - è l’accusa dei lavoratori - dalle strette vedute.

Lo spiega bene il segretario generale provinciale della Cgil Roberto Montagner quando, nel primo degli interventi, si infervora e raccoglie l’applauso quando dice che «un governo così non serve a nessuno. La vocazione di questo territorio è industriale, manifatturiera, è dal lavoro che dobbiamo ripartire. Per non rassegnarsi alla crisi c’è bisogno di rilanciare la domanda interna sostenendo il reddito, intervenendo sulle grandi rendite immobiliari, l’evasione fiscale, le grandi transizioni finanziarie». Ma anche, sostiene Lino Gottardello (della Cisl) «abbassando le tasse, creando le condizioni affinché le aziende restino in Italia». Perché se le imprese guardano all’estero non ci possiamo poi stupire del fatto che, come dice Gerardo Colamarco (Uil) «oltre 16.000 giovani veneti hanno fatto le valigie nell’ultimo anno per cercare lavoro all’estero come negli anni ’60».

E i posti che sono rimasti qui, aggiunge, vanno difesi con le unghie, come quelli del settore delle crociere «perché la soluzione del passaggio delle grandi navi in bacino San Marco non può passare attraverso una riduzione dei posti di lavoro come sta avvenendo». Si parla di giovani - pochissimi in sala - e pensionati, stanchi, per dirla con le parole di Gianni Simionato, 71 anni, della Cisl, «di essere considerati un peso contabile, di essere qualcosa in più rispetto al corpo dei lavoratori, di essere un peso morto della società» anche se, certo, «una riflessione il sindacato la deve fare sul perché non riesca a rappresentare i più giovani». Quelli che ci sono stanno combattendo con un mercato del lavoro che non è più quello dei loro genitori, come i lavoratori dell’Aprilia ad esempio, una delle aziende che era stata riferimento del Miranese. «La proprietà ci ha annunciato la riduzione della produzione da 29 mila a 7-8 mila veicoli» dicono Matteo Masiero e Matteo Tilloca della Cisl «l’azienda è sana, ma priva di un piano industriale e commerciale per il rilancio». O come le lavoratrici dell’Airest, che cercano di difendere i diritti acquisiti al tavolo nazionale per il rinnovo del contratto collettivo al quale la Fipe (la Federazione dei pubblici esercizi) si è presentata con la proposta che prevede di ridurre gli scatti di anzianità e abolire la quattordicesima, dicono arrabbiate Veronica Costantini e Nicoletta Carraro. «Diritti conquistati negli anni e che ora si vogliono cancellare» dice Veronica «senza contare che questo è un settore in cui regna sovrano il precariato, con assunzioni di due mesi in due mesi». Ne sa qualcosa anche Luigi Boldrin, 77 anni, di Campolongo. È in pensione dal 1992, quando venne accompagnato alla porta della Caffaro di Marghera: «La mia pensione è di 1265 euro, ci viviamo in quattro: io, mia moglie, e due figli che vivono con noi, di cui una lavora in una birreria, quando di lavoro ce n’è». Lo chiamano welfare familiare, e non conosce crisi.

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