La città tra storia e fantasia alla ricerca dei Templari
La Venezia esoterica raccontata da un misterioso scrittore veneziano che si firma Lucio de Meth parteciperà al Premio selezione Campiello Opera prima.
Nel libro appena uscito «Venezia. Itinerari esoterici tra calli, chiese e palazzi», edito da Supernova, l’autore, un medico conosciuto in città che svelerà il nome solo se vincerà il concorso, ha scelto uno pseudonimo come omaggio sentimentale a Malamocco.
È da qui che proviene l’avo del protagonista Frank Burtis, discendente di Petar Caesar Alberti, primo italiano sbarcato a New York nel 1635.
Il romanzo, ispirato a vicende storiche e arricchito con un pizzico di fantasia, porta alla scoperta di venti luoghi e venti storie con tanto di mappa iniziale.
Il filo rosso è la presenza dei templari a Venezia con qualche accenno indiretto ai Liberi Muratori (i futuri massoni, come Giacomo Casanova).
Tra le tappe l’iscrizione nella facciata dell’attuale Casinò di Ca’ Vendramin Calergi del motto dei Cavalieri dell’Ordo Templi: «Non nobis domine, non nobis sed nomini tuo ad gloriam» (Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome dai gloria) e le decine di griglie o scacchiere (le tria) incise sul Fontego dei Tedeschi, per molti croci iniziatiche dei Cavalieri Teutonici.
In Strada Nuova troviamo la Chiesa della Maddalena voluta dalla famiglia veneziana dei Balbo che combatté a fianco dei Templari nella Quarta Crociata. Qui Burtis s’imbatte nel singolare portale con un triangolo che racchiude un cerchio e un occhio, elementi che ricorrono tra i simboli dei massoni.
Il percorso tra storia e fantasia si snoda tra Piazza San Marco nella colonna con i pellicani, uccello che rappresenta il sacrificio Cavalieri del Pellicano, alla clessidra e al compasso in Ruga degli Oresi a Rialto.
In questa appassionante ricerca di tracce del passato nel presente, c’è anche la statua del cosiddetto uomo selvatico che regge il sole, incastonato nella facciata di Palazzo Boldù e chiamato anche el vecio pien de peo.
Il cosiddetto homo selvaticus è per molti un simbolo alchemico e fu voluto da Gianmatteo Bembo, nipote di da Pietro Bembo.
E ancora Burtis si addentra tra calli e campielli in Campo Sant’Aponal nel bassorilievo dei quattro santi incoronati, proprio dove c’era la sede della Confraternita dei Tajapiera che aveva come strumenti simboli compasso, martello e scampello, in seguito utilizzati dai Liberi Muratori, i futuri massoni.
Lucio de Meth, richiamando spesso nell’immaginario e tra le righe il compaesano Hugo Pratt di Malamocco e le atmosfere di una Venezia arcana, mostra una città i cui dettagli, sempre davanti ai nostri occhi, sono una porta magica che attende di essere aperta. —
V.M.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia