Ingenti investimenti in contanti : dai bar alle borse, l’effetto-Cina

VENEZIA. Tutto parte dai soldi. Lo “sbarco” commerciale dei cinesi a Venezia, che dura da anni e si sta allargando a macchia d’olio - dalla gestione dei bar alla catena di negozi di borse, dalla catena dei negozi di finti vetri e gadget “a un euro”, ora anche alle cartolerie - ha origine innanzitutto nella grande disponibilità economica nell’inserirsi nella rete cittadina. Si sa infatti - sulla base delle molte trattative concluse - che i cinesi sono acquirenti ideali per chi vende o cede un’attività. Pagano generalmente in contanti e non tirano sul prezzo, come se l’acquisto del bar o del negozio in cui si inseriscono nascesse appunto da una disponibilità economica che si ha a monte e che si ha necessità di impiegare.
Il personale che gestisce i locali ha in genere più lo “status” del dipendente che del piccolo imprenditore che avvia un’attività. Se la gestione di bar o ristoranti è ormai sempre più diffusa da parte dei commercianti orientali, le nuove frontiere commerciali a cui essi si sono dedicati negli ultimi anni in laguna sono stati quelli dei negozi di borse e di quelli “a un euro”. I negozi di borse gestiti da manodopera cinese sono spuntati praticamente in ogni punto della città, dall’area marciana a quelle meno centrali della città.

La caratteristica di questi negozi - come può constatare chiunque - è quella di vendere lo stesso tipo di borse e di presentarsi frequentemente vuoti di clientela. Anche qui l’impressione diffusa è che ci siano capitali da investire a monte e che l’effettivo funzionamento dell’attività commerciale che si impianta - in questo caso la vendita di borse - sia appunto quasi un aspetto secondario. L’importante è fare l’investimento. Discorso diverso invece per i cosiddetti negozi “a un euro” che vendono quella paccottiglia e quelle cianfrusaglie che proprio il decreto legislativo del Governo - se verrà attuato - dovrebbe mette fuorilegge. Qui il guadagno c’è, perché il costo del prodotto, di infima qualità, è talmente basso e il ricarico talmente limitato che basta pochissimo per rendere redditizia l’attività basata sui soliti turisti giornalieri, ben felici, a loro volta, di spendere pochissimo. La “madre di tutta le paccottiglia” dei negozi da un euro che pullulano ormai a Venezia è il gigantesco centro all’ingrosso di merce cinese che è a Padova, in Corso Stati Uniti, da dove arrivano poi i gadget, che, tutti uguali, ritroviamo nei minuscoli negozietti aperti in laguna.
«Questo tipo di negozi», commenta il segretario della Confartigianato veneziana Gianni De Checchi, «è proprio quello che danneggia maggiormente gli autentici artigiani veneziani. Se non si riesce a fermarli, si mette in pericolo il tessuto autentico della città».(e.t.)
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