Palude Venezia, 7 mila atti e due settimane per decidere se patteggiare o no

Processo il 27 marzo o riti alternativi per Boraso e tre imprenditori, i pm valutano la questione Pili

Roberta De Rossi
L’ex assessore Renato Boraso
L’ex assessore Renato Boraso

Immersi nella lettura di verbali e atti (oltre 7 mila pagine) e alle prese con centinaia di ore di intercettazioni telefoniche, ambientali, chat (1600 quelle contestate dalla Procura) gli avvocati dell’ex assessore Renato Boraso e dei tre imprenditori (Francesco Gislon, Fabrizio Ormenese, Daniele Brichese) non hanno ancora deciso la strada difensiva da intraprendere in vista del processo con rito immediato, che i pm Baccaglini e Terzo hanno chiesto e il giudice Alberto Scaramuzza disposto per il 27 marzo. Primo appuntamento in aula con l’inchiesta Palude.

Incontri in Procura tra le parti ci sono stati, ma per le difese si tratta più che altro di primi “sondaggi” per verificare se un punto di incontro si possa trovare sulla pena per eventuali patteggiamenti. Altrimenti si opterà per il rito abbreviato, che in ogni caso garantisce uno sconto di un terzo della pena in caso di condanna.

Turbativa d’asta e corruzione, ecco le accuse all’ex assessore Boraso
L'ex assessore Renato Boraso

Più lontano dai riti alternativi sembra invece essere - al momento - l’ex assessore Renato Boraso, l’indagato che si trova con il maggior carico di accuse (quasi una ventina quelle di corruzione, declinate nelle varie sfumature del codice, per sostenere, caldeggiare, pilotare pratiche edilizie e gare d’appalto a favore di imprenditori amici e compiacenti).

Il rito immediato è stato chiesto dalla Procura per evitare che il 16 gennaio i quattro indagati agli arresti domiciliari tornino liberi, scaduti i termini delle misure cautelari: il procedimento del gup Scaramuzza cristallizza le misure cautelari sino al processo, che per legge dovrà concludersi entro un anno.

Ma riguarda solo i capi di imputazione che hanno portato agli arresti, che per Boraso - in particolare - sono solo una parte di quelli a lui contestati dalla Procura, con la difesa che parla tuttalpiù di traffico di influenze illecite. Restano fuori le “turbative” d’asta.

E, soprattutto, non si sa ancora quale sarà la decisione della Procura in merito al “caso Pili” che vede indagato il sindaco Brugnaro (che nel processo immediato risulta tra le parti offese, in rappresentanza di Comune e Città Metropolitana), i suoi uomini di fiducia Morris Ceron (direttore generale) e Derek Donadini (vice capo di gabinetto) con l’accusa di concorso in corruzione per aver cercato di vendere i 43 ettari in pancia alla holding LB del sindaco al magnate Ching Chiat Kwong.

All’ex assessore al Patrimonio - secondo l’accusa - sarebbe andata una mazzetta da 73 mila euro per abbassare il prezzo di palazzo Papadopoli, acquistato nel 2019 da Ching per 10,8 milioni di euro, dopo un’asta a vuoto a 14. Una vendita basata sulla stima ufficiale dell’Agenzia delle Entrate, la replica delle difese degli imputati.

Quale che sarà la decisione sul punto della Procura - se chiedere il rinvio a giudizio o meno sui Pili - l’ex assessore Boraso si trova davanti a un “doppio processo”. Si vedranno presto gli sviluppi: la norma dà solo 15 giorni ai legali per chiedere riti alternativi o andare in aula, mentre la Procura sta lavorando sulla chiusura delle indagini per gli indagati dell’inchiesta Palude.

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