«In tanti anni dall’assassino di mia figlia neanche le scuse»

MESTRE. «Quando l’ho saputo mi è bruciato lo stomaco, come se prendesse fuoco. Provate a mettervi nei miei panni, come è possibile accettarlo? Non ho mai ricevuto una lettera di scuse».

Quello di Tullio Zacconi è l’interrogativo di un padre che ha perso la figlia incinta al nono mese di gravidanza, uccisa quando aveva poco più di vent’anni e stava per affacciarsi alla vita. Fu il padre del bimbo che doveva nascere di lì a pochi giorni a ucciderla e poi a nascondere il corpo, in un pezzo di terreno alle spalle di un distributore di carburante affacciato sulla strada provinciale che attraversa la provinciale. Presa a pedate e buttata in una fossa, quando ancora respirava. Hevan si doveva chiamare il bimbo, per il quale era già pronta la cameretta. Per quell’omicidio Lucio Niero - che aveva già una moglie e due figli - è stato condannato a 30 anni di carcere ma nei giorni scorsi, dopo 11 anni di reclusione, ha ottenuto la prima giornata di libertà, un permesso accordato dal carcere di Verona valutando, come prevede la normativa, il percorso di riabilitazione del recluso, che in questi anni ha studiato - si sta per laureare in Commercio estero - si è comportato in modo corretto, e ha intrapreso anche un cammino spirituale. È l’obiettivo del carcere recuperare le persone, per reinserirle nella società. Ma il punto di vista di un padre che ha perso la figlia, nel modo in cui l’ha persa Tullio Zacconi, è un altro. «Apprendere della sua libertà per me ha significato rivivere di nuovo l’incubo», si sfoga, «pensare da un lato alla violenza e alla cattiveria con la quale la mia Jennifer è stata ammazzata e dall’altro all’uomo che l’ha uccisa in libertà». Anche se solo per un giorno. Ieri pomeriggio l’uomo era, come sempre, al suo posto dietro il banco del bar di Mestre in cui lavora.
L’avvocato gli ha suggerito di restare calmo, di non rilasciare interviste alle varie trasmissioni televisive che lo hanno contattato per farsi raccontare il suo punto di vista sulla vicenda. «In questo momento», si limita a dire Zacconi, «è meglio che io non dica altro, vi invito solo a provare a mettermi nei miei panni, a cercare di capire la rabbia che provo». Rabbia e tensione che potrebbero portare a dire qualcosa di troppo, qualcosa di sbagliato, come avvenne quando, nell’aprile del 2007, in tribunale a Venezia, si lasciò andare a un momento di sconforto minacciando Lucio Niero, che aveva appena patteggiato la pena a 30 anni di carcere. Raggiunto nei giorni scorsi dalle telecamere di Chi l’ha visto, Tullio Zacconi si è sfogato così: «Ringraziamo le istituzioni e le leggi che ci sono se Niero undici anni dopo un omicidio del genere può avere già un permesso premio. Per certi reati per me non dovrebbero esserci permessi premi, perché uno dopo undici anni si è pentito? Io da lui non ho mai ricevuto una lettera di scuse. L’amarezza è che lui potrà riabbracciare i suoi familiari, io invece non potrò farlo con mi figlia Jennifer».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia