«Il Governo ha fatto un decreto anti dignità per le imprese»

«Il primo atto collegiale del nuovo Governo, il cosidetto “decreto dignità” è a tutti gli effetti un decreto anti-dignità” per l’impresa», dice Vincenzo Marinese, presidente unico di Confindustria Venezia e Rovigo, criticando apertamente, come hanno già fatto le associazioni artigiane e dei commercianti, il primo importante provvedimento economico del governo M5s-Lega.
Quali saranno gli effetti del decreto dignità sull’economia veneziana?
«Gli effetti che prevediamo non saranno positivi. Prima di decidere come ha fatto il Governo, sarebbe meglio ascoltare le imprese. Altrimenti è come se una persona che ha un problema al cuore, anziché farsi vedere da un cardiologo, decida di andare a farsi operare da un fisioterapista. Lascio a voi valutare le possibilità di successo. Serve, invece, un forte patto sul lavoro, che parta dalla formazione. Bisogna ridurre fortemente la forbice che oggi abbiamo nel passaggio scuola-lavoro. Bisogna investire, inoltre, in percorsi formativi, tecnici e specialistici. I dati dimostrano chiaramente che molte delle nostre aziende fanno fatica a trovare tecnici specializzati».
E i nuovi limiti sul lavoro a tempo determinato?
«Non è possibile che ogni legislatura regolamenti con nuovi decreti i termini dei rapporti di lavoro, è un segnale di poca stabilità e di enorme vulnerabilità agli occhi di chi ci osserva».
Nel suo recente incontro con il sottosegretario della Lega, Bitonci, lei ha detto la Flat Tax non serve alle imprese. Perché?
«Al sottosegretario Bitonci abbiamo chiesto di poter vivere in un Paese normale, in cui ci siano regole chiare e non oggetto di interpretazione. Per avvicinare sempre di più le imprese a un rapporto trasparente con il fisco. Oggi ci sono norme che elidono e contraddicono altre norme: una riforma fiscale parte innanzitutto dalla stabilità normativa. Non siamo favorevoli a questa flat tax che risulta completamente diversa rispetto ai programmi illustrati in campagna elettorale e che non renderà nessuno soddisfatto. Con il risultato che le ricadute positive, in termini di consumo e di aumento del Pil , non si vedranno».
E’ giusto, come prevede il decreto, punire le imprese che delocalizzano?
«La delocalizzazione è un processo avviato da lungo tempo, da quando è i mercati ci hanno portato verso la globalizzazione tuttavia, in questi anni, siamo stati testimoni di un percorso virtuoso, molte aziende sono rientrate nel nostro Paese a produrre. Il tema è un altro: siamo convinti che punendo chi delocalizza, limitando dunque il libero esercizio d’impresa, non demotiviamo chi sta per far rientrare in Italia l’attività?».
Di Maio dice che il decreto ha l’obbiettivo di demolire il Jobs Act, condividete?
«Nel Jobs Act ci sono inevitabilmente errori che possono essere aggiustati, ma se ogni volta demoliamo ciò che non va bene riscrivendo da capo anche ciò che funziona non stiamo programmando il futuro, ma stiamo solo pianificando il presente».
Che misure sul mercato del lavoro avreste voluto vedere dal Governo?
«Da anni diciamo che il cuneo fiscale è troppo oneroso sia per l’impresa che per i lavoratori, le statistiche ci vedono tra gli ultimi Paesi in Europa. Un lavoratore che guadagna in media uno stipendio di 1.300 euro netti costa all’azienda circa 36.000 euro l’anno. Ridurre il cuneo fiscale metterebbe il lavoratore in condizione di prendere più soldi e l’impresa di essere più competitiva. Basti pensare che, negli ultimi 10 anni, il costo del lavoro è aumentato di ben il 35 per cento». —
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia