Il campiello, spazio urbano di pregio oggi soffocato dall’invasione turistica

Campiello. Un nome tutto veneziano. Luogo «minore» di una città speciale, dove l’unica piazza è San Marco, le altre si chiamano «campo», per via della pavimentazione inesistente. Antichi nuclei con la chiesa, la riva, i campi coltivati. Poi ci sono i «campielli».Luoghi autentici , caratterizzati dall’edilizia minore. «Spazi urbani vissuti». Molti di questi non sono più leggibili, per via dell’invasione del turismo, dei tavolini dei bar e ristoranti, dei nuovi percorsi. Ma quasi tutti hanno una identità e una storia.
Così il fotografo e ricercatore Franco Vianello Moro, con un passato da presidente del Cus e del Consiglio di quartiere, insieme a uno storico (Giorgio Crovato) e a un urbanista dell’Iuav (Franco Mancuso) ha messo insieme una ricerca inedita sui campielli veneziani. Ne hanno censiti 217 – nella guida del Lorenzetti sono soltanto 60), con immagini, toponimi e storie. Un’indagine preziosa, per ricostruire l’urbanistica di una città speciale dove la fitta trama delle strade e degli edifici spesso conduce il visitatore in questi spazi. «Dove l’edilizia», dice Mancuso, «è quella domestica della Venezia minore». Un mondo oggi in parte cancellato dal turismo. Tende, sedie e tavolini spesso rendono poco leggibili questi spazi. Quasi sempre avevano al centro la vera da pozzo, geniale invenzione per raccogliere le acque di una città che come diceva Marin Sanudo di «è in acqua ma non ha acqua».
Ecco dunque le 217 gemme censite. Suddivise come si usava un tempo, in quelle de citra, cioè di qua del Canal Grande nei sestieri di Castello, Cannaregio e San Marco e de ultra, nella riva opposta, cioè a San Polo, Dorsoduro e Santa Croce. Più qualche esempio di campiello alla Giudecca , Burano, Murano, Malamocco e Pellestrina. I toponimi rimandano agli antichi mestieri, come il campiello del Pestrin (la bottega del latte), del Pistor e del Forner,, del Tintor e del Tagiapiera, del Remer e dei Lavadori de Lana. Ma anche a personaggi illustri (Correr, Querini, Cappello, Pesaro, Riccardo Selvatico, Barbaro, Malipiero). O infine di santi e località come San Tomà, Sant’Agostin, San Zulian. E quello, preziosissimo e sconosciuto ai più dell’Argaran, vicino a San Pantalon, dove è custodita una preziosa stele bizantina.
«I campielli sono le scenario dove si svolgeva la brulicante vita dei Veneziani», scrive Vianello Moro. «In molti sopravvivono i pozzi, il loro elemento centrale», dice Crovato, «ma anche dettagli di grande importanza, vestigia lapidee di epoca bizantina». Luoghi in molti casi sopraffatti dal nuovo turismo e dalle strutture che lo accompagnano Altri sono rimasti intatti. «Possibile costruirsi itinerari personali tra queste belezze sconosciute», dice Crovato.
«Il campielli sono cellule urbanistiche elementari», scrive il professor Mancuso, «intorno ai quali si coagula la vita della città d’acqua. Interessante l’appendice con le piante di tutti i campielli schedati. Il volume, edito da Supernova, è corredato da schede e foto per ogni campiello. Una guida originale alla Venezia minore. —
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