Gente Veneta festeggia i suoi primi cinquant’anni

Messa in Basilica alla Salute, convegno e rinfresco in Seminario patriarcale, assieme alla grande famiglia del settimanale diocesano. Il Patriarca: «Comunicazione fa rima con libertà. Le guerre iniziano con le mezze bugie, anzi con le mezze verità»

Marta Artico

 

«Dire senza tradire, perché le guerre iniziano con le parole, anzi con le mezze bugie, che si chiamano anche mezze verità».

Il patriarca Francesco Moraglia ha celebrato nella Basilica della Salute, la funzione per il cinquantesimo della nascita del settimanale diocesano Gente Veneta, in un’atmosfera di festa. Un Giubileo vissuto tutto d’un fiato, raccontando la fede che si intreccia con la vita delle persone, dando spazio alla città di Venezia in tutte le sue parti, il centro storico, la terraferma, la provincia. 

Un momento solenne suggellato dal convegno “Connessi al tuo presente. Le sfide dell’intelligenza artificiale” che si è svolto nell’auditorium del seminario patriarcale, contiguo alla basilica. Tra i relatori Andrea Buoso, presidente Ordine dei Giornalisti del Veneto, Teresa Scantamburlo, Università di Venezia, Luigi Rancilio, giornalista. E molti altri che hanno preso la parola, tra cui don Fausto Bonini, tra i sacerdoti che hanno diretto il settimanale diocesano.  

Durante l’omelia, il patriarca ha riflettuto sul ruolo dei media e del giornalista, lanciando un messaggio a Gente Veneta «sfidata dalle nuove tecnologie» ai giornalisti e a tutti coloro che a più voce e a vario titolo si occupano di comunicazione.

«Comunicazione fa rima con libertà»

Moraglia ha posto l’accento su alcuni verbi: «Dobbiamo sensibilizzare noi stessi e l’opinione pubblica sull’importanza di comunicare nella nostra civiltà, facendo capire che comunicazione fa rima con libertà. Dobbiamo promuovere, il secondo verbo, una comunicazione responsabile, etica e umana, specialmente in un’epoca dominata dalla tecnologia. È necessario disarmare, che è il terzo verbo, le aggressività e le guerre mediatiche: in altri contesti comunicativi le guerre iniziano con le parole, anzi con le mezze verità. Salvaguardare l’empatia, anche nella comunicazione».

«Dire senza tradire»

Da qui l’invito a mettere in pratica una comunicazione «aperta, responsabile, prudente, rispettosa dell’altro». Soprattutto per i giovanissimi, che spesso non hanno contezza del rischio di chiudersi in un mondo che non incontra l’altro. Non solo: «L’impegno a testimoniare il Vangelo nell’era digitale chiede di essere attenti agli aspetti di questo messaggio, inconciliabili con non poche logiche del web».

Parola d’ordine: «Accedere ai media in modo critico»

«La vita di un sempre maggior numero di persone è colonizzata dalle nuove tecnologie della comunicazione e moltissime sono le persone che non sanno accedere in modo critico ai media» ha detto Moraglia «oggi lo strapotere della comunicazione impone il flusso di grandi mutamenti culturali e sociali e le nuove tecnologie non cambiano solo il modo di comunicare, ma la comunicazione». Ha aggiunto: «Siamo di fronte a una vasta e repentina trasformazione culturale, nel mondo digitale trasmettere informazioni significa immetterle in una rete sociale dove la conoscenza viene condivisa nell’ambito di scambi personali. La chiara distinzione tra produttore e consumatore dell’informazione viene relativizzata e la comunicazione diventa non solo scambio di dati, ma condivisione della propria persona e della propria vita, e ciò può essere una delle cause dell’aumento di crimini che vedono per fautori i nostri minori»

«Il pericolo di costruirsi un mondo parallelo»

«Il pericolo è costruirsi un mondo parallelo, chiusi in camera, tutto il giorno, senza incontrare una persona. L’era digitale ci chiede di essere persone autentiche, riflessive, le dinamiche dei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta in ciò che comunica». Da cui l’appello a un comunicazione, aperta, responsabile, autentica.

«La verità condivisa non è proporzionale al numero di follower»

«La verità che cerchiamo di condividere non trae il valore dalla mia popolarità sul web, non dipende dal numero di follower che mi seguono, anche se questo paga: bisogna impegnarsi a far conoscere un messaggio, quello cristiano, nella sua integrità, invece di cercare di renderci accettabili trattando quello messaggio secondo le logiche del momento, ascoltando alcune voci e non altre».

E ancora: «La notorietà e la fama dicono ancora poco della persona, invito a entrare con responsabilità e creatività nella rete. Il web, piaccia o no, sta contribuendo a formare nuove e più complesse forme di coscienza intellettuale e spirituale condivise, per questo siamo chiamati ad annunciare la nostra fede, che è Cristo. I credenti  chiamati a testimoniare anche nella rete le loro convinzioni, offrano un prezioso contributo affinché il web non diventi strumento che riduce persone a categorie e oggetti, per manipolarle o monopolizzare le opinioni altrui. La democrazia farà sempre di più i conti con la comunicazione, la richiesta è che i giornalisti credenti sappiano mantenere vive le eterne domande dell’uomo».

La festa

Dopo il convegno, in cui si è discusso di Intelligenza artificiale, un brindisi con la grande famiglia del settimanale, il direttore don Marco Zane, le colonne portanti del settimanale, su tutti Giorgio Malavasi, che ha preso per mano e fatto crescere generazioni di giornalisti, i tantissimi collaboratori e formati alla scuola di Gente Veneta, alcuni dei quali negli anni chiamati ad altri compiti ruoli e lavori. 

Una giornata passata in allegria, che ha visto la presenza di autorità, istituzioni, ma anche tante persone che in questi anni hanno collaborato e sostenuto in tanti modi il settimanale, anche mediante la distribuzione, la correzione delle bozze, in uso soprattutto un tempo, il supporto quotidiano.

 

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