Filippi, condanna per stalking alla madre

VENEZIA. La guerra in famiglia per il logo dell’antica casa editrice e libreria Filippi ha causato anche una sanzione penale per il 64enne Franco, condannato qualche mese fa a cinque mesi di reclusione (pena sospesa grazie alla condizionale) per stalking e minaccia nei confronti dell’anziana madre. Tra le due parti c’è ancora in corso una disputa trasformata in lunga causa civile per stabilire chi può fregiarsi del marchio, se Angelica la moglie di Luciano, il fondatore deceduto nove anni fa, o il figlio Franco, che pretende di essere l’unico a poterlo utilizzare nella sua attività (gestisce una libreria in Caselleria vicino San Marco). Anche la madre, assieme ad un altro figlio gestisce una libreria, in calle del Paradiso a Castello. L’editrice Filippi è famosa per importanti pubblicazioni sulla storia e i costumi veneziani come «Curiosità veneziane» di Giuseppe Tassini, «Storia di Venezia» in 10 volumi di Samuele Romanin e altri libri sui ponti, sulle vere da pozzo e sulle feste della città.
La disputa con la madre ha spinto Franco Filippi, almeno secondo l’accusa, a compiere atti persecutori nei confronti dell’anziana donna, tanto che alla fine del 2010 il giudice delle indagini preliminari ha accolto la richiesta del pubblico ministero Giovanni Zorzi ed ha firmato un’ordinanza cautelare che gli proibiva di avvicinarsi sia all’abitazione sia alla libreria della madre. Stando a numerose testimonianze e non solo a quelle della madre e del fratello, l’imputato avrebbe sottoposto a vere e proprie vessazioni l’anziana donna a cominciare dal 2006. Quell’anno l’avrebbe avvicinata più volte, accusandola di avergli rovinato la vita e minacciandola che avrebbe posizionato una bomba nel negozio per farlo saltare assieme a lei. Nel corso degli anni successivi «si è trovata a subire altri episodi disturbanti» come la sottrazione di volumi e l’essere oggetto di pesanti ingiurie. Nel maggio 2010 Franco Filippi avrebbe inviato a un cugino in contatto con la madre alcuni messaggi telefonici, uno di questi diceva «Il tempo è scaduto. Darò seguito ai miei propostiti al più presto. Ammazzare un delinquente non è reato...». In quella stessa giornata, dopo che era arrivata una telefonata al 113, davanti ai poliziotti intervenuti l’imputato aveva confermato l’intenzione di uccidere la madre e il fratello «colpevoli a suo dire di avergli sottratto l’eredità del padre».
La sua pretesa è quella di essere l’unico ad avere il diritto di svolgere l’attività avviata dal padre, ma questo toccherà al giudice civile stabilirlo con la sua sentenza, che dovrebbe essere emessa tra poco. Franco Filippi, al processo, ha fornito la sua versione dei fatti. Nella sentenza il giudice Rocco Valeggia la riporta ampiamente: ha ammesso di essere stato piuttosto alterato in un’occasione e di aver minacciato la madre; non ha escluso di aver inviato messaggi minacciosi, probabilmente in un momento in cui era particolarmente nervoso ed esasperato dalla situazione creata dalla causa civile. Il magistrato scrive di averlo condannato perché la madre si è dimostrata credibile anche perché a confermare le sue denunce si sono presentati numerosi testi, dal fratello al cugino e agli agenti di Polizia.
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