Fermati con un borsone di esplosivo Volevano far saltare i bancomat

Carlo Mion
Alle due di notte erano sulla rotonda di Marghera sotto la tangenziale, a piedi e uno vicino all’altro. La pattuglia dei carabinieri appena li ha notato li ha raggiunti ed inutili sono stati i tentativi dei quattro di andarsene. Appena fermati il capopattuglia ha notato a terra e breve distanza da loro un borsone. Sorpresa. Aperto il borsone il carabiniere ha trovato degli involucri contenenti della polvere pirica. Sostanza che ai quattro non serviva certo per confezionare dei fuochi d’artificio. A quel punto chiamati i rinforzi i militari del Nucleo Operativo della Compagnia di Mestre hanno identificato i fermati, si tratta di quattro cosiddetti giostrai sinti. Sono residenti rispettivamente a Marghera, a Conegliano, a Oderzo e l’ultimo, nato a Cittadella, è domiciliato a Marghera. Tutti hanno precedenti per reati contro il patrimonio. Hanno età comprese tra i 45 e i 31 anni. Sono stati arrestati per detenzione di materiale esplosivo. Ora sono in carcere in attesa della convalida dell’arresto da parte del Gip. Le indagini sono coordinate dal pm Federica Baccaglini.
Secondo gli investigatori dell’Arma i quattro erano in attesa dei complici con le auto per andare sul luogo dove avevano intenzione di far saltare uno o più bancomat. Infatti la polvere pirica trovata serve per confezionare la cosiddetta “marmotta”, praticamente un ordigno che consente di strappare dal muro lo sportello bancomat per poi prendere i soldi contenuti nel dispensatore di banconote. Non si sa dove fossero diretti. Ma la rotonda dove li hanno fermati da accesso a Romea e autostrada. In poche ore sarebbero stati in zona Bologna o Ferrara e in orario giusto per colpire. Le bande che fanno gli assalti ai bancomat usano sempre dalle due alle tre auto.
Due di queste fungono da palo davanti agli istituti di credito scelti e ingaggiano falsi inseguimenti con eventuali pattuglie delle forze dell’ordine giunte sul posto, mentre una terza è l’auto “operativa”, con a bordo la batteria che entra in azione. Quindi i tre che devono far saltare lo sportello cominciano il lavoro. Preparano la “marmotta”, ovvero un parallelepipedo in ferro riempito di polvere pirica, delle esatte dimensioni delle aperture del dispenser, che veniva inserito con l’aiuto di un piede di porco all’interno del bancomat. Poi l’operazione più delicata, l’innesco. O come dicono in gergo i banditi “andare sotto” e quindi la deflagrazione. Ordigni esplosivi improvvisati, ma molto ingegnosi: le bande del bancomat non utilizzano più l’acetilene, poco controllabile, ma una miscela di esplosivo , che tutti gli investigatori definiscono “micidiale” e che esplode in un tempo stabilito, se innescato con una semplice spina elettrica e batterie ricavate ad esempio dai trapani o per altri utensili. Per comunicare, oramai non usano più i telefoni cellulari per evitare di essere intercettati, ma radio trasmittenti a volte sulle frequenze delle forze dell’ordine. —
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