Evasioni e arresti, la vita folle di Ercolino

La barba lunga, tinta come i capelli. Un camouflage che lo doveva rendere meno riconoscibile quando, con troppa spavalderia, se ne andava in giro tra la Riviera del Brenta e il Piovese. Poca cosa per ingannare chi da oltre vent’anni insegue e arresta Ercole Salvan. “Ercolino” è un vero bandito. Un malavitoso che ha vissuto facendo rapine e non si è mai tirato indietro quando c’era da sparare, soprattutto con i kalashnikov.
Gli ultimi suoi 25 anni li trascorre dentro e fuori il carcere. Dentro dopo rapine o evasioni e fuori per problemi o presunti tali, di salute. Una vicenda, la sua, che più di una volta ha fatto alzare i toni della protesta ai sindacati di polizia considerata la pericolosità del bandito. Spesso i sindacati hanno accusato la magistratura di essere troppo indulgente nei suoi confronti.
La storia di evasioni e arresti di Salvan, nel mondo della mala conosciuto come Ercolino, è lunga. Da sempre rapinatore, è accusato di diversi omicidi, ma sempre assolto per questo reato. Gli anni di carcere li sconta soprattutto perché ritenuto responsabile di tentati omicidi e rapine. A fine anni Novanta, mentre è latitante ad Asiago, la Squadra Mobile di Venezia lo intercetta lungo l'autostrada della Valdastico. Abbandonata la moto su cui viaggia, scappa a piedi per i campi. Armato di pistola, cerca di sparare contro gli agenti, ma uno di questi è più veloce e lo colpisce ad un gluteo. Nel 2002, alle udienze per il processo che lo vedeva accusato dell'omicidio di Claudio Calore - uno degli omicidi di mafia degli anni Ottanta - e per il quale è stato assolto si presenta in sedia a rotelle. Era una commedia? Allora tutti erano disposti a giurare che non lo era: i medici che lo avevano visitato per conto del giudice veneziano Licia Marino prima e del Tribunale di sorveglianza poi, avevano infatti scritto che soffriva di uno speciale aneurisma che avrebbe potuto provocare anche la sua morte improvvisamente. Agli arresti domiciliari, scappa nonostante l'aneurisma e il proiettile che si porta nel gluteo. Ma non solo. Infatti il 7 luglio del 2003 compie una rapina ai danni di un furgone portavalori. Nel conflitto a fuoco viene ferita una guardia giurata. Per questo assalto viene condannato a quasi vent'anni.
Ma la condanna arriva in contumacia. Infatti Salvan è nuovamente latitante. Ancora pochi mesi di libertà perché, sempre la Squadra Mobile di Venezia, si mette sulle sue tracce e lo trova al Lido delle Nazioni. Gli investigatori che “ascoltano” amici e parenti, durante un'intercettazione, mentre parla con un amico, lo sentono dire: «La prossima volta non mi prendono vivo».
I poliziotti temono di trovarlo morto quando fanno l'assalto all'abitazione della località balneare. Ma lui scambia gli agenti per banditi e scappa. Corre parecchio, nonostante l'aneurisma e il proiettile nel gluteo che non ha mai voluto togliersi.
Finisce in carcere a Opera, poi a Parma dove risiede ufficialmente. Di lui parla un pentito della Nuova Mala del Brenta, Stefano Galletto, che sostiene come Salvan partecipi all'assalto a un furgone blindato nel 1987, durante il quale muore un camionista. Secondo Galletto il frammento di metallo che Salvan porta nella natica è di un proiettile sparato dalla polizia durante l'assalto. Ma nella perizia i medici legali scrivono: «Si può affermare con certezza che il proiettile nel bacino di Ercole Salvan, anteriormente all'osso sacro, non sia calibro 9 e neppure un proiettile di questo calibro deformato o ridotto al seguito di impatti antecedenti l'ingresso nel corpo nel quale è trattenuto...». Salvan viene assolto per quell'omicidio. Per un periodo il proiettile viene pure sequestrato per consentire le perizie. Ora quel proiettile difficilmente lo potrà aiutare.
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