«Dopo la proclamazione già in ambulatorio a visitare»

venezia
Il primo paziente, come medico di famiglia, lo ha visitato il 26 febbraio del 2020, in un ambulatorio della Gazzera. «Non c’era eccitazione, ma solo la paura di dovere affrontare la pandemia senza le “armi”». Jacopo Scaggiante - 29 anni, di Spinea - era medico di medicina generale da una settimana esatta, dopo la proclamazione del martedì precedente. Ma il suo battesimo è durato 12 mesi: un anno di pandemia.
Che ha fatto dopo la proclamazione?
«Un’ora dopo ero già tornato in ambulatorio a visitare i pazienti. Dall’anno scorso, è consentito ai corsisti, quale ero io, di assumere incarichi temporanei con le Usl nelle guardie mediche, nelle Usca o come medici di medicina generale. Dal 26 febbraio, ho sostituito un paio di colleghi, uno dei quali a casa con il Covid e poi ho assunto l’incarico in un ambulatorio della Gazzera, per sostituire una collega purtroppo mancata».
Com’è andata?
«Noi medici ci sentivamo che il Covid sarebbe presto arrivato anche qui. Io non avevo tanto paura di lavorare in piena pandemia, quanto di lavorare in piena pandemia, senza dispositivi di protezione. All'inizio, persino dopo i primissimi casi registrati a Vo’, facevo il vigile nell’ambulatorio. Chiedevo ai pazienti di indossare le mascherine, di stare distanziati. Alcuni si arrabbiavano, poi è cambiato tutto. Dall’8 marzo erano tutti terrorizzati. In ambulatorio non metteva piede più nessuno, ma la gente chiamava al primo starnuto».
C’è una storia che l’ha colpita, più delle altre?
«La mia unica paziente uccisa dal Covid. È successo a dicembre. Lei aveva 65 anni, diabetica. Mi ha chiamato dicendomi che aveva visto un’amica, poi risultata positiva. Le ho detto di mettersi in quarantena. Era una donna molto allegra e aveva mantenuto il suo spirito. Non immaginavo che non ce l'avrebbe fatta».
Com’è stato iniziare, in piena pandemia?
«Ho studiato medicina perché è una materia bellissima, che mi consente di avere a che fa con il “valore assoluto”, la salute delle persone. Un qualcosa di non monetizzabile. La pandemia è stata qualcosa di inatteso. Chi studia medicina ama le sfide e quello del medico è un lavoro che ti porta a buttare il cuore oltre l’ostacolo. Con la pandemia, noi giovani medici abbiamo dovuto crescere rapidamente».
E la terza ondata?
«La settimana scorsa ho ripreso a prescrivere i tamponi. Era da un mese che non lo facevo e avevo persino smesso di effettuarli nella modalità “drive through”, essendo scesa la curva. Temo che la terza ondata sarà presto realtà».
I suoi pazienti le chiedono di vaccinarsi?
«Se avessi ricevuto un euro per ogni richiesta simile, ora potrei permettermi una Ferrari. Ma quest’anno è stato così anche per l’antinfluenzale». —
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