«Donadio jr aderiva a logiche camorristiche»

«Informati chi sono io...io sono Donadio, ti sparo in bocca». Ricorreva alle minacce anche in difesa degli amici, Adriano Donadio, figlio di Luciano, considerato il capo del clan dei Casalesi che da quasi vent’anni imperava ad Eraclea: di quella associazione a delinquere di stampo mafioso, il figlio Adriano - ritiene il Tribunale del Riesame - è stato «partecipe in modo evidente e costante» e per questo deve restare in carcere, in attesa dello sviluppo dell’inchiesta.
Così si legge nelle motivazioni, con le quali i giudici del Tribunale della Libertà hanno respinto la richiesta di revoca delle misure cautelari : ordinanza che potrà essere impugnata in Cassazione.
Lungo l’elenco degli episodi ricordati dai giudici per evidenziare la «totale adesione» di Adriano Donadio « alle logiche del sodalizio camorristico... al quale in più occasioni ha rivendicato l’appartenenza e verso cui esprime ammirazione», usando e «facendosi forte della forza intimidatrice del gruppo».
Da episodi banali come lo scontro con alcuni skinheads nel dicembre 2013 - «rintracciati dagli “uomini d’ordine” del gruppo su richiesta di Adriano Donadio e costretti a chiedere scusa» - «all’attentato ai danni del comandante dei vigili urbani di Eraclea», come vendetta per le troppe sanzioni stradali a carico del Donadio. «Chiara», scrivono i giudici, «è la volontà di ribadire con la violenza che per gli aderenti al sodalizio non valgono le comuni regole di condotta». Come nel caso del banale litigio tra spettatori al campo da calcio di Fossalta, nel novembre del 2014, che «si trasforma, per il solo fatto di esserne stato coinvolto Adriano Donaggio, figlio di Luciano, in uno sgarbo da lavare con sangue e così si scatena una caccia all’uomo», con pestaggio violento della controparte. Una vera e propria rappresaglia.
Modi da bullo violento, come quando - si legge nell’ordinanza del Riesame - in seguito dell’ennesima rissa in un bar di Eraclea, Luciano Donadio fa intervenire il poliziotto “amico” Moreno Pasqual, perché difenda il figlio davanti ai carabinieri di San Donà intervenuti su posto. Poi c’è naturalmente il fatto sostanziale - ritengono i giudici del Riesame - della partecipazione attiva di Donadio Jr «al sodalizio imprenditoriale quale prestanome del padre, presso il punto Snai di San Donà, non disdegnando di utilizzare l’attività quale strumento per riciclare denaro di provenienza verosimilmente illecita: si pensi alla disinvolta previsione che alcuni albanesi reinvestissero nelle scommesse decine di migliaia di euro». Così, padre e figlio parlano - intercettati -d ella possibilità che gli albanesi carichino su schede prepagate 10 mila euro per volta da destinare a puntate Snai.
L’erede designato del capo clan di Eraclea partecipa «alle riunioni strategiche o delicate a riprova della fiducia e della condivisioni dei metodi del sodalizio», scrivono i giudici, «oltre al guadagno illecito che ne ricava». Sa tutto dei meccanismi estorsivi della famiglia, che«con violenza e minaccia» ha imposto per un ventennio la propria “economia” sull’area di Eraclea. E guarda con ammirazione ai capi clan più spietati dei Casalesi: «Cicciotto ’e mezzanotte e Sandokan sono i numeri uno». —
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