Detenuto di 41 anni si toglie la vita in carcere a Venezia, è il terzo episodio nel 2024

L’uomo era finito dietro le sbarre ad aprile scorso per rapina e resistenza a pubblico ufficiale. Santa Maria Maggiore

ospita 270 reclusi su una capienza di 159. E mancano agenti

Francesco Furlan
Il carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia
Il carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia

È entrato nel bagno della cella condivisa con altri due detenuti. Dopo alcuni minuti, non vedendolo uscire, uno dei suoi compagni - l’altro in quel momento non si trovava in cella - è entrato e l’ha trovato impiccato con una cinghia. Inutili i disperati tentativi di salvargli la vita. Erano le 15.20 di martedì 5 novembre.

Nuovo suicidio nel carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia. La vittima è un cittadino marocchino di 41 anni da poco compiuti, in carcere da aprile. Stava scontando una condanna per rapina e resistenza a pubblico ufficiale ed era in attesa di giudizio per altri due procedimenti. Il fine pena provvisorio, secondo fonti sindacali, era atteso a febbraio.

Il suicidio è avvenuto in concomitanza con la visita in carcere del consigliere regionale Arturo Lorenzoni. Il 41enne marocchino, come accertato dal garante dei detenuti, l’avvocato Marco Foffano, non aveva dato segni di disagio che potessero far pensare alla sua volontà di togliersi la vita.

È il terzo suicidio in carcere a Venezia dall’inizio dell’anno. Ed è l’ennesima triste conferma di una situazione molto difficile, nonostante l’impegno costante del nuovo direttore, Enrico Farina.

La settimana scorsa era stato ascoltato dai consiglieri comunali di Venezia sulla situazione carceraria di Santa Maria Maggiore che ospita 270 detenuti a fronte di una capienza di 159 ospiti, con solo 4 educatori e una carenza cronica degli agenti di polizia penitenziaria che sono 30 in meno di quanto dovrebbero essere.

Proprio per cercare di intercettare il disagio, il carcere ha avviato il progetto di “sostegno tra pari” in collaborazione con il Dipartimento di salute mentale dell’Usl 3. Prevede la formazione di alcuni detenuti per aiutare e soprattutto rilevare possibili segnali di disagio nei compagni di cella, nell’ottica di ridurre il rischio di suicidi. Un protocollo mai adottato a Venezia ma utilizzato in altre strutture carcerarie in Lombardia e nel Lazio da una decina d’anni.

L’episodio di martedì ha gettato nello sconforto tutti quelli che, a vario titolo, si occupano di carcere. «Le carceri stanno diventando delle discariche», dice senza mezzi termini il garante dei detenuti, Foffano, «e non si vede ombra di risoluzione. Lo dico come disperato appello a prendere coscienza del fatto che parliamo di luoghi, come previsto dalla nostra Costituzione, di formazione sociale. Devono essere luoghi di cura e di attenzione, tutti devono rendersene conto e in questo senso è positiva la scelta del comune di Venezia di conoscere, parlando con i direttori, le condizioni delle realtà carcerarie».

Sul terzo suicidio in carcere a Venezia sono intervenuti anche gli agenti penitenziari. «È il 79esimo detenuto che si toglie la vita dall’inizio dell’anno, cui si devono aggiungere 7 appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria che, altresì, si sono tolti la vita, in quella che è una vera e propria spirale di morte destinata, presumibilmente, a sbaragliare di gran lunga ogni precedente record negativo», dice Gennarino De Fazio, Segretario Generale della Uil Pa Polizia Penitenziaria. E Giampietro Pegoraro, Fp Cgil Veneto Polizia Penitenziaria: «Venezia è in forte sofferenza, lo diciamo da mesi e la struttura non è in grado di ospitare tutte queste persone. Non ci si può stupire dei suicidi se a livello centrale non si interviene per cercare di risolvere la situazione». 

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