«Da piccolo giocavo con Hemingway»

«Di là dal fiume e tra gli alberi io l’ho vissuto in prima persona. Dai produttori del film neanche una chiamata. Io, che da piccolo giocavo con Hemingway, so come sono andate le cose». Gherardo Scapinelli, 68 anni, è il nipote di Adriana Ivancich, la “Renata” del libro di Hemingway nota per aver avuto una relazione con il grande scrittore americano. Nato in calle del Remedio, dove Hemingway passava molte delle sue giornate, oggi Scapinelli vive a Como.
La notizia del nuovo film di Martin Campbell (conosciuto per “La maschera di Zorro”, “Casinò Royale” e “Amore senza confini”), con l’attore Pierce Brosnan, non va giù a Scapinelli. Le riprese, tra Venezia e Padova, inizieranno il prossimo 23 aprile e termineranno l’8 giugno. Il film “Across the river and into the trees” è un adattamento del best seller di Ernest Hemingway, edito nel 1950. Il regista del film è Martin Campbell, apprezzato soprattutto per “La maschera di Zorro” e “Amore senza confini”.
Signor Scapinelli, quindi lei c’era quando Hemingway scrisse il libro?
«Certo, “Di là dal fiume e tra gli alberi” è dove stava mia zia Adriana Ivanchich, a San Michele al Tagliamento. Dall’altra parte del fiume, a Latisana in Friuli, Hemingway era ospite di una famiglia. Il fiume Tagliamento li divideva. Lì incontrò mia zia e si innamorò. La nostra tenuta, a parte la cantina, ormai non esiste più. Fu bombardata, solo il parco a oggi è rimasto intatto. Il libro è un racconto autobiografico, lo scrisse per mia zia, Adriana Ivancich che fu il suo grande amore. Mia zia non c’è più, ma la famiglia resiste ancora. Che io sappia, sono uno dei pochi ancora viventi ad aver conosciuto Hemingway di persona».
Come mai si stupisce di non essere stato contattato?
«Quattro o cinque anni fa mi chiamò il regista Abel Ferrara. Voleva realizzare l’adattamento del libro di Hemingway. Mi diede l’incarico per trovare l’entourage per il film. Cosa che io feci, ma poi il progetto naufragò in poco tempo, con una discreta perdita di tempo e soldi. Prima di Ferrara, anche Anthony Quinn aveva provato a realizzare il film. Posso anche capire che abbiano trovato una sistemazione alternativa. Però non è l’originale, non si è svolta lì la storia. Adesso vengo a sapere, grazie ai giornali, di questa produzione americana, con un regista famoso e una star di Hollywood come Pierce Brosnan. Io ho cercato di mettermi sulle loro tracce ma non ci sono riuscito. Secondo me questa produzione sta facendo un errore. Magari è vero che sul Brenta, dove sembra si gireranno alcune scene, hanno trovato una villa bellissima. Però ambientare il film nei luoghi dove la storia si è svolta avrebbe avuto un altro fascino».
Lei poteva essere una fonte diretta.
«Noi come famiglia Ivancich avremmo potuto dare tantissime informazioni dettagliate, suggerire i luoghi precisi e ricostruire al meglio le giornate passate assieme a Hemingway. Restiamo comunque a completa disposizione. Non per chissà quale interesse, solo per una fedeltà storica di come sono andate davvero le cose. E poi, sarebbe stato anche un ritorno interessante per il comune di San Michele al Tagliamento, Bibione e Lignano. Per vie traverse, so per certo che ci avrebbero tenuto a sponsorizzare la produzione e a contribuire al budget milionario. Avrebbe giovato anche al turismo estivo».
Come vi siete conosciuti? «Lui frequentava la nostra villa in Friuli, conosce mia zia e scoppia un grande amore. Nel grande parco dove c’era la nostra villa, dedicato a mia zia che all’epoca aveva 18 anni. Mia nonna, austroungarica vecchio stampo, non gradisce. Allora obbliga Hemingway a cambiare il nome da Adriana in Renata. E infatti, il libro parla di mia zia che ha un altro nome. Io sono nato in calle del Remedio 4421, nel palazzo Ivanchich. Proprio lì dove Hemingway veniva a fare in continuazione il filo a mia zia. Poi lui si affezionò a noi, perché frequentava casa nostra e soprattutto perché girava intorno a mia zia Adriana. E poi, rispetto a me, c’è un aneddoto interessante».
Dica.
«Lui continua a frequentarci e diventa uno di casa. Io parlavo inglese perché la mia baby sitter era australiana. Mia zia mi adorava e io le stavo sempre appiccicato e si vedeva che Hemingway era infastidito da questa cosa. Un giorno mi prese in braccio, avrò avuto 4-5 anni. Ricordo che ero vestito come si usava una volta, quasi da bambina. A un certo punto, strofina la sua barba sulla mia guancia e mi dice: “You look like a girl”. Io gli rispondo, arrabbiato. Al che lui mi fa: “Dimostralo, tirami un pugno qui, indicando il suo braccio”. Offeso, prendo e gli tiro un pugno. Lui, da buon maciste qual era, mi risponde: “Questo dimostra di sicuro che non sei una bambina!” e lì è iniziata la grande simpatia».
Poi come è proseguito il vostro rapporto?
«Si era affezionato anche a me, ogni volta che andava in giro per i suoi viaggi intorno al mondo mi portava qualcosa. Dall’America mi regalava i fumetti come Topolino, perché in Italia ancora non era pubblicato. Un’altra volta una divisa da cowboy che mettevo sempre a Carnevale. Ne ero orgoglioso, non ce l’aveva nessuno, in Italia nel ’53/54 non c’era niente. Spesso mi regalava delle barrette americane di cioccolata, una rarità all’epoca. Una volta, di ritorno dal Kenya, si accorge di non avermi portato niente. Al che mi regala l’unica cosa che aveva: due banconote kenyote, con ghepardi e leoni disegnati sopra. Io, deluso, non sapevo che farne. Allora decido di scambiarle con delle figurine dei calciatori con i miei compagni di classe. Non potevo sapere chi fosse quest’uomo all’epoca. Più tardi ho realizzato: roba da mangiarsi le mani».
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