Consorzio per il Mose, fallimento ormai vicino

VENEZIA. Cause civili per danni alle vecchie imprese del Consorzio. E i fondi disponibili per i minori interessi dei mutui Bei (530 milioni di euro) per pagare gli stipendi dei 200 dipendenti, saldare i debiti con le piccole imprese del Consorzio e avviare i lavori d compensazione in laguna.
Qualche giorno fa il commissario liquidatore del Consorzio Venezia Nuova Massimo Miani aveva ventilato la possibilità delle sue dimissioni. Situazione ingarbugliata, quella del Consorzio. Travolto dai debiti dopo gli scandali, a secco di liquidità e a rischio fallimento. «Non voglio restare col cerino in mano», avrebbe confidato a un suo collaboratore. Adesso Miani prova a delineare la strategia per uscire dal tunnel. Ultima chiamata.
Ce sta succedendo all’ex corazzata monopolista della salvaguardia? Una cosa molto semplice. Il 12 per cento di aggio sui lavori, privilegio stabilito per legge, ha consentito di accumulare fortune negli ultimi decenni. Garantendo il funzionamento di una macchina imponente. E anche di qualcos’altro, pagamenti illegittimi e tangenti.
Dal 2014 l’aggio è andato via via riducendosi. Lavori quasi a zero, e le entrate non consentono di ripianare i costi e i 16 milioni di passivo ogni anno. Nessuno ha pensato a “risparmiare” come si fa nelle buone famiglie per fronteggiare i momenti di crisi. Così la situazione già visibile con l’ultimo presidente Mauro Fabris si è aggravata con la gestione Anac e ora sta per esplodere.
Il Consorzio ha almeno 200 milioni di debiti. A cui bisogna aggiungere i 25 già pagati all’Agenzia delle entrate, i numerosi procedimenti per evasione fiscale e false fatturazioni in corso, quasi 500 milioni in ballo per le richieste di risarcimento danni intentate dalle ex maggiori azioniste Mantovani, Condotte e Grandi Lavori Fincosit. Il Covela di Mantovani ha chiesto ai commissari del Consorzio 98 milioni di anni per mancati lavori.
Insomma, una nuvola nera. A cui bisogna aggiungere lo scandalo della mancata manutenzione, responsabilità dell’ex commissario Francesco Ossola, ora consulente della commissaria Spitz. E della stessa commissaria, nominata dal governo Conte per “sbloccare” i cantieri.
Ma la manutenzione è ferma. La sabbia nei cassoni di Treporti si accumula da anni. Tubazioni arrugginite e valvole devono essere cambiate. Così come le cerniere del Mose. Tutto documentato dai servizi pubblicati dalla Nuova. E adesso dalle clamorose dimissioni della consulente per la corrosione, l’ingegnere Susanna Ramundo. «Noi abbiamo detto cosa bisogna fare, ma la corrosione avanza ed è tutto fermo».
Ferma anche la gara da 34 milioni che doveva individuare un soggetto capace di pensare a nuove cerniere – quelle già montate sono corrose in molti punti – e rifarle con acciaio diverso da quello impiegato, e affidare i lavori. Ma da ottobre, dopo aver individuato le tre ditte partecipanti (Fincantieri, Cimolai e De Pretto) nessuno del Consorzio le ha convocate per svolgere i sopralluoghi previsti dalla legge prima dell’accettazione. Dunque, la gara è ferma.
Grane che si accumulano. Per la commissaria, che ha avviato i test delle paratoie, ma non ha realizzato i lavori. E anche per il commissario liquidatore Massimo Miani. Nel suo mandato di nomina c’è scritto che prima di liquidare il Consorzio e passare dipendenti e patrimonio alla nuova Agenzia dovrà “portare a termine l’opera”. Secondo il cronoprogramma i lavori e il collaudo si dovranno concludere entro il 31 dicembre. Ma la situazione dei cantieri non lo consente.
«Situazione più grave dei quello che appare», ha detto alla Nuova la provveditora alle Opere pubbliche Cinzia Zincone. «gli impianti non sono finiti e la manutenzione è ferma». Un groviglio che si complica. In attesa dell’Autorità per la laguna, bloccata da cinque mesi. —
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