Chiese chiuse, lo Iuav lancia la sfida ai privati

Ecco le nuove proposte perché diventino anche spazi per la «produzione» Aperta ieri a Ca’ Pesaro la mostra dedicata ai trenta edifici inutilizzati
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 24.04.2018.- Inaugurazione Mostra: Ritrovamenti. L'arcipelago delle chiese chiuse di Venezia. Cà Pesaro.
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 24.04.2018.- Inaugurazione Mostra: Ritrovamenti. L'arcipelago delle chiese chiuse di Venezia. Cà Pesaro.

L’arcipelago delle chiese “chiuse” di Venezia, e cosa farne. Anche per affrontare il problema delle molte altre che nei prossimi anni potrebbero seguire la stessa sorte, per il calo di residenti e di fedeli e la difficoltà della Curia veneziana a mantenerle aperte.

La mostra che si è aperta ieri a Ca’Pesaro, assiepata di studenti di Architettura e curata da Sara Marini, docente di Composizione architettonica e urbana dell’Iuav, che da alcuni anni si occupa del problema delle chiese chiuse di Venezia, in collaborazione con la Fondazione Musei Civici, e accompagnata dalle fotografie di Andrea Pertoldeo, oltre che dalle schede e da parte delle tesi in questi anni dedicate all’argomento, è il frutto di quattro anni di lavoro con i suoi studenti intorno a questo tema e conclude in pratica questa ricerca, a cui seguirà tra qualche mese un libro. La parola che accompagna l’esposizione, aperta sino al 27 maggio, anche con il contributo di sponsor come Venice Fund e Leonardo gioielli, è «ritrovamenti», perché il lavoro di Marini, con le ricerche di Elisa Monaci e Sissi Cesira Roselli, punta, oltre che a documentare la situazione a ipotizzare una riapertura in chiave “produttiva” di questi luoghi una volta di culto.

Le chiese come luoghi di lavoro. Trasformandoli anche in luoghi del lavoro, più che in nuove sedi espositive, già sovrabbondanti in città, lasciandoli contemporaneamente aperti anche alla visita e rendendoli parti vive della città. Pensando ad esempio all’editoria e al restauro del libro, che appartiene alla storia di questa città, a forme di artigianato artistico, ma anche a vere e proprie attività produttive o di progettazione, che si basano sulle nuove tecnologie che sarebbero compatibili anche con gli spazi delle chiese. Intanto però c’è la situazione attuale, con 30 chiese chiuse e ben 18 delle quali «invisibili», nonostante gli sforzi, anche per la professoressa Marini e per i suoi studenti nel corso della ricerca.

Il caso delle Terese. Anche quando si gioca «in casa», come per la magnifica chiesa tardoseicentesca di Santa Teresa, dimenticata da Curia e Comune, progettata da un allievo del Longhena, Andrea Cominelli. Una chiesa interna all’ex convento delle Terese, oggi sede dell’Iuav, di proprietà appunto del Comune e gestita formalmente dalla Curia, che la professoressa Marini può vedere dalle finestre del suo studio ma in cui non può entrare, chiusa com’è da decenni.

L’elenco delle chiese. Le altre chiese «testate» dalla ricerca sono quella di Santa Maria della presentazione, dei Santi Cosma e Damiano, di San Maurizio, di San Vidal, dei Santi Rocco, Stefano e Margherita, di Santa Maria dei Derelitti, di Santa Giustina, di Santa Maria del Pianto, di Santa Maria della Misericordia, di San Leonardo, di Santa Caterina, di Santa Maria delle Penitenti, di Santa Margherita, di San Fantin, di Sant’Andrea della Zirada, di S. Fosca, di San Giovanni Novo, di San Lorenzo, di Sant’Antonin, di Sant’Anna, di San Barnaba, di San Gregorio, di S. Marta, dello Spirito Santo, di San Beneto, di Sant’Aponal, di San Tomà, di S. Maria Maggiore e di Santa Croce.

Tre recuperi in corso. Per alcune è avviato un recupero, ma quasi sempre a fini espositivi. A Santa Croce, alla Giudecca, andranno i depositi delle Gallerie dell’Accademia. San Gregorio diventerà la nuova sede del Museo Orientale, spostato proprio da Ca’Pesaro. San Lorenzo dovrebbe riaprire come spazio per l’arte contemporanea a cura della Fondazione Thyssen Bornemisza. Ma per molte altre non c’è un futuro.

Coinvolgere i privati. A meno che, anche con il coinvolgimento dei privati, non si reinventi per esse una nuova funzione, riaprendoli alla comunità. «L’arcipelago disegnato da questi edifici, sconsacrati e non» si legge non a caso nella presentazione della mostra, «su cui un tempo è stata costruita la città, racconta oggi diverse assenze, tra le quali la più evidente e determinante è quella dei cittadini».

E conclude: «Il numero dei manufatti coinvolti in questa indagine sull’uso, la loro collocazione nel tessuto urbano, la loro natura architettonica sono condizioni che permettono di ipotizzare una rifondazione della città a partire da questi luoghi ritrovati».

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