Accessi fuori controllo a Venezia, Vernier contro la politica: «Potrei candidarmi»

L’ex presidente dell’associazione Commercianti di piazza San Marco punta il dito contro il ticket: «Se ci saranno i presupposti, sono pronto a dedicarmi al bene comune»

Maria Ducoli
Claudio Vernier
Claudio Vernier

«Venezia sta morendo di turismo mal gestito». A lanciare l’allarme Claudio Vernier, ex presidente dell’associazione Commercianti di piazza San Marco.

Dalle sue parole, emerge l’immagine di una città in balia dei turisti giornalieri, tanti, troppi per Vernier, che mettono in crisi il già fragile equilibrio tra residenzialità e turismo. Per il commerciante, che postato il suo pensiero sui sociale, serve fare qualcosa e, possibilmente, farlo subito.

Da che parte iniziare, per regolare il turismo in centro storico?

«Intanto dal fissare un numero massimo di persone che possono trovarsi a Venezia nello stesso momento. Poi bisogna iniziare a pensare anche alla terraferma, prevedendo la prenotazione anche per quei turisti che soggiornano a Mestre».

Questo anche in virtù del fatto che, a differenza della città d’acqua, in terraferma arrivi e pernottamenti non hanno subìto un calo così importante?

«Sì, Mestre è lasciata al libero mercato, tanto che vediamo un numero crescente di posti letto. Questi turisti dormono qui e poi vengono a Venezia, di fatto è come se fossero giornalieri: creano imbuti e punti di stress su strade e mezzi pubblici. Venezia deve tornare a essere un posto meraviglioso da visitare e da vivere».

Se la situazione è questa, quanta responsabilità ha la politica?

«A mio parere, enorme. Dovrebbe determinare regole e con lungimiranza portare la città ad essere sostenibile, produttiva e in grado di preservare il tessuto sociale».

Cosa si dovrebbe fare, dunque?

«Una pianificazione che tenga conto dei finanziamenti e dell’esigenza di regolamentare i posti letto in terraferma, bisogna far fronte a questo enorme aumento. Serve, insomma, un piano serio per redistribuire il turismo, favorire la residenzialità e reinvestire le entrate nel recupero del tessuto sociale ed economico».

Anche le entrate del ticket d’accesso?

«Soprattutto quelle, per garantire più servizi ai turisti, che poi si ripercuotono in benefici per i residenti».

Crede che, invece, il contributo sia stato usato per fare cassa, come diversi partiti e comitati dicono, attaccando l’amministrazione comunale?

«Solo due milioni e 200mila euro all’anno, che sono stati utilizzati per ridurre di appena quattro euro annui la Tari media per famiglia a Venezia. È chiaro: non è una politica di gestione del turismo, è una tassa per fare cassa, è chiaro».

E, intanto, la città si svuota.

«Abbiamo perso 30mila abitanti negli ultimi vent’anni e attività artigianali, botteghe, ristoranti tradizionali che chiudono. Il turismo di massa senza reinvestimento locale porta alla “desocializzazione” della città. Si trasforma Venezia in un parco tematico senz’anima. Dobbiamo chiederci se vogliamo una Venezia viva o solo una vetrina per selfie a pagamento».

Un appello ad agire, mentre le elezioni sono sempre più vicine. C’è un nome che potrebbe essere all’altezza della sfida?

«Più che una persona, ci vuole un gruppo che si metta finalmente a disposizione del bene comune, cosa che oggi è dimenticato. Ci vogliono persone che sappiano ascoltare il territorio, che non è composto solo le associazioni di categoria ma anche la cittadinanza, e che imparino a conoscere il luogo di cui si devono prendere cura».

Potremmo vedere il suo nome, in qualche lista?

«Non so, me l’hanno già chiesto. Ho risposto che se ci saranno i presupposti per fare la differenza e aiutare la città, allora potrei decidere di dedicare il mio tempo al bene comune, per la nostra bellissima città».

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