Cerniere corrose, acciaio di bassa qualità: Mose, si dimette anche l’altro esperto

VENEZIA. «Il vero problema del Mose è la corrosione. E contro questo nemico inesorabile non si è fatto nulla, continuando con gli errori di prima. I problemi del Mose non saranno mai risolti, anzi si aggraveranno». Anche il secondo esperto metallurgico del Provveditorato alle Opere pubbliche si dimette. Lanciando pesanti accuse contro l’inerzia che sta aggravando la situazione della grande opera sott’acqua costata sei miliardi di euro.
Gian Mario Paolucci, ingegnere metallurgico dell’Università di Padova, era stato il primo a lanciare l’allarme, cinque anni fa, sulla corrosione delle cerniere del Mose. «Da allora», dice sconsolato, «i nostri segnali di allarme sono stati ignorati. Me ne vado perché non voglio essere coinvolto in responsabilità per scelte errate compiute da altri». E’ il secondo in pochi giorni che getta la spugna. L’altra era stata l’esperta corrosionista Susanna Ramundo.
Adesso Paolucci. Ingegnere stimato e consulente del Provveditorato dal 2008. Il quadro che egli descrive sullo stato dell’opera sott’acqua è allarmante. «Non si è fatto nulla», scrive l’ingegnere, «per rallentare questo processo di corrosione, come ad esempio dotare di climitizzatore o ventilatore i locali sott’acqua, che si sono riempiti di umidità. La scoperta dello stato grave di corrosione di otto tensionatori dell’elemento femmina delle cerniere ha finalmente convinto a sostituirli. Ma sono stati acquistati identici a quelli corrosi».
Errore grave. Perché l’esperto ricorda come «il vero peccato mortale del Mose sia stato l’avere scelto di realizzare le cerniere femmina, la parte che sostiene le paratoie cementata nei cassoni sul fondo, in acciaio comune, molto economico ma soggetto a corrosione. Da progetto queste dovevano garantire una durata di cento anni in immersione e senza revisioni. Si doveva invece, dice l’ingegnere, scegliere l’acciaio Superduplex, molto più costoso ma duraturo. L’altro errore gravissimo, continua l’ingegnere, è stato quello di sottovalutare l’effetto corrosione elettrochimica sotto l’acqua del mare.
«I danni meccanici si possono in qualche modo riparare, se invece la cerniera di una paratoia cederà, tutto il sistema Mose avrà mancato il suo scopo e non è certo che vi si possa porre rimedio». Accuse anche ai progettisti e al Consorzio. «Il Provveditorato ha chiesto agli esperti», dice Paolucci, «mentre il progettista e il Consorzio lo hanno fatto solo a posteriori. Negli ultimi anni solo due sono state le ispezioni subacquee». Colpa anche della «sciagurata imposizione del prezzo chiuso».
«Una scelta all’apparenza ispirata da una finalità di risparmio. In realtà ha stimolato appetiti insani, invogliando a risparmiare su tecnologìe e materiali, dirottando risorse a pagare stipendi imprevisti a causa del protrarsi dei lavori, che dovevano finire nel 2012».
«Ma la fine dell’opera si allontana sempre di più», continua l’ingegnere, «mentre i lavori perseverano nella loro apatica stagnazione. Una delle cause potrebbe essere la mancanza di fondi assorbiti da tanti stipendi anche lauti e da qualcuno che quindi non ha interesse a veder completati i lavori». Un’opera infinita, il cui confronti con altre realizzate nel mondo appare impietoso. Il nuovo canale di Panama, lungo 84 chilometri inaugurato nel 2016 è stato realizzato in 9 anni con una spesa di sei miliardi di dollari. Il tunnel stradale sotto il Bosforo a 106 metri sotto il mare, lungo 5,4 chilometri realizzato in 5 anni.
«Del Mose invece dopo 18 anni di lavori e malgrado gli euforici proclami dopo qualche recente alzata delle barriere per giunta in condizioni marine tutt’altro che severe non si vede la fine. E il nervo scoperto sono le cerniere. Su questo non si è fatto nulla. Per questo me ne vado». Amen. —
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