Cecchin: «Troppo clamore» Slitta la denuncia in Procura

L’ex assessore di Galliera Veneta conferma gli abusi sessuali subiti in Seminario «Solo un rinvio tecnico, il mio legale sta acquisendo altri elementi probanti»
PD 02 luglio 2004 G.M. CONSIGLIO COMUNALE DI GALIERA VENETA.CECCHIN GIANBRUNO (POLETTO) CONSIGLIO COMUNALE DI GALIERA VENETA. (POLETTO)
PD 02 luglio 2004 G.M. CONSIGLIO COMUNALE DI GALIERA VENETA.CECCHIN GIANBRUNO (POLETTO) CONSIGLIO COMUNALE DI GALIERA VENETA. (POLETTO)

GALLIERA VENETA. «Ci sono diari, annotazioni quotidiane, appunti che rimandano a un dolore incancellabile». Ci sono anche queste pagine tra gli elementi di prova che Gianbruno Cecchin, 49enne docente di filosofia, allegherà all’esposto che intende depositare alla Procura di Treviso. Riguardano i presunti abusi e violenze sessuali che l’ex assessore di Galliera sostiene di aver subito 29 anni fa, durante la sua permanenza nella comunità vocazionale del seminario diocesano di Treviso. In particolare Cecchin rivolge le sue accuse contro due sacerdoti: don Livio Buso, parroco a San Martino di Lupari e un sacerdote del Veneziano. Entrambe le parrocchie fanno capo alla diocesi trevigiana guidata dal vescovo Michele Tomasi .

L’esposto, Cecchin, avrebbe dovuto presentarlo ancora ieri, secondo quanto lui stesso aveva annunciato.

«Ma alla luce di quanto uscito in questi giorni sulla stampa», spiega l’ex seminarista, «il mio legale sta acquisendo ulteriori elementi probanti per cui la denuncia verrà presentata tra un paio di giorni». Solo un rinvio tecnico, dunque, mentre Cecchin aggiunge particolari alla vicenda. «Sono stato chiuso a chiave mentre ero fatto oggetto di abusi sessuali», ricorda con dolore.

Cecchin è rimasto in seminario un anno tra il 1990 e 1991, quando aveva vent’anni. «Ho resistito fino a giugno, quando comunicai la decisione di uscire dal seminario», scrive nella missiva inviata a papa Francesco. «Fu per me una grande liberazione: ricordo che venne mia madre ad aiutarmi a portare a casa le mie cose, ma un prete vigliacco non permise alla donna che mi ha donato la vita di salire al piano superiore perché, secondo quel prete (...), il piano superiore era un luogo privato al quale potevano accedere solo i seminaristi. Io gli detti una spinta, e lo minacciai che se non avesse acconsentito a far salire mia made avrei chiamato i carabinieri e il vescovo Magnani».

Quando Cecchin uscì dal seminario di Treviso, ricorda di essere stato «felicissimo perché sapevo che stava finendo quell’incubo, che erano gli ultimi minuti in cui avrei visto quelle maledette stanze dell’orrore».

Un orrrore covato in seno per ventinove lunghi anni, fino a quando ha deciso di «buttare fuori, quel dolore» che gli aveva tolto la felicità di vivere. Un’osservazione, Cecchin, la riserva al vescovo Tomasi. «Nei casi di abusi o di pedofilia, i vescovi diocesani in via cautelativa prendono le distanze, dichiarano di aver fiducia nella magistratura e confidano che emerga la verità», attacca il docente di filosofia, «monsignor Tomasi invece non ha esitato a blindare i due parroci coinvolti, invitandoli anzi a controdenunciare: questo mi fa pensare a quanto bigottismo ci sia ancora nella chiesa».

E il veleno è sempre sulla coda: Cecchin se la prende con l’ex vicesindaco di Galliera Lilia Gava, nella giunta guidata da Silvano Sabbadin. L’ex amminstratice aveva nutrito dei dubbi sulle rivelazioni di Cecchin. Che passa al contrattacco: «Come può dubitare di una vicenda di cui non ha mai saputo nulla? La querelo». —

Giuliano Doro

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