Calle dei Fabbri è cinese superati i negozi veneziani

Altre due aperture in pochi giorni. Botteghe semideserte e con la stessa merce Brunetta: «Offerta enorme per una domanda nulla: fenomeno inspiegabile»
Di Manuela Pivato
INTERPRESS/GF.TAGLIAPIETRA.- CALLE DEI FABBRI/17.03.13-(PIVATO)
INTERPRESS/GF.TAGLIAPIETRA.- CALLE DEI FABBRI/17.03.13-(PIVATO)

Calle dei Fabbri come Chinatown, affollata da gruppi di turisti cinesi che, a due passi da Piazza San Marco, trovano frotte di connazionali pronti a servir loro panini, pizza, borse, maschere e chincaglieria pseudo-veneziana fatta in Oriente. Migliaia e migliaia di chilometri per ritrovare la stessa lingua, le stesse facce, la stessa merce e, magari, anche gli stessi sapori.

Il cuore cinese batte nella calle a ritmo vertiginoso. Chiude il piccolo negozio di vicinato e, tempo una notte, una mano di bianco e quattro scaffali, apre un’altra bottega di borse, cover di telefonini, sandali di plastica. Insensibili agli affitti alle stelle (fino 4-5 mila euro al mese) e alla concorrenza reciproca, il numero di esercizi commerciali cinesi di calle dei Fabbri – una ventina – ha superato quello delle attività gestite dai veneziani diventando il punto di riferimento dei gruppi di orientali che ogni giorno arrivano in laguna.

«È un fenomeno apparentemente inspiegabile e senza una logica commerciale», commenta il presidente di Confesercenti, Piergiovanni Brunetta», perché questi negozi propongono un’offerta enorme a fronte di una domanda che non c’è. Sono sempre vuoti, con una ragazza seduta in fondo al negozio incollata al suo computer. Come facciano ad aprire in continuazione e a conquistare interi pezzi di città come è accaduto in calle dei Fabbri resta un mistero. Sarebbe interessante se la Camera di Commercio facesse una bella indagine per capire quanti sono e come se la passano considerato che anche loro a giungo devono fare la denuncia dei reditti».

Lo storico bar, il ristorantino, il negozio di abbigliamento da uomo che aveva 60 anni di vita, l’agenzia di viaggi: uno dopo l’altro hanno ceduto all’onda cinese che è entrata in possesso di metà calle trasformando radicalmente un pezzetto di tessuto della città.

A frequentare i negozi di pelletteria tutti uguali, i ristoranti che propongono spaghetti e panini surgelati corredandoli con le fotografie a colori in vetrina sono altri cinesi che evidentemente cercano qualcuno che parli il loro idioma e conosca i loro gusti per farli sentire a casa. Per il resto sono deserti.

«La caratteristica più soprendente, oltre all’omologazione dei prodotti, è la velocità con la quale gli orientali riescono a avviare le nuove attività», continua Brunetta, «senza che si sia mercato». Nell’arco dell’ultima settimana hanno alzato la saracinesca due nuovi negozi e dove non ci sono cinesi proliferano maschere, vetri e paccottiglia varia. Di “veneziano” sopravvive pochissimo, incluso il piccolo negozio di detersivi la cui resistenza nella China-calle ha qualcosa di eroico.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:commerciocinesi

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia