Bonini: «Serve una città più buona oltre che bella»

L’arciprete del Duomo lascia a settembre dopo 12 anni: «Ma non mi ritiro» Dalle polemiche sugli stipendi d’oro al degrado: «Va tutelato il bene comune»
Di Mitia Chiarin
MESTRE 25/07/2003 P.ZZA FERRETTO DUOMO SAN LORENZO INTERVISTA A DON FAUSTO BONINI....(C) Bertolin M. richiesto da RAFFELE MESTRE P.ZZA FERRETTO DUOMO SAN LORENZO INTERVISTA A DON FAUSTO BONINI....
MESTRE 25/07/2003 P.ZZA FERRETTO DUOMO SAN LORENZO INTERVISTA A DON FAUSTO BONINI....(C) Bertolin M. richiesto da RAFFELE MESTRE P.ZZA FERRETTO DUOMO SAN LORENZO INTERVISTA A DON FAUSTO BONINI....

«Stiamo vivendo giorni davvero difficili e brutti. Mestre e Venezia come Milano sono diventate agli occhi del mondo sinonimo di malaffare. Non entro nel merito delle vicende dei singoli coinvolti, ma credo che purtroppo la categoria del bene comune non caratterizza tutti coloro che si occupano della cosa pubblica. Questo mi sento di dire, visto che sono arrivato dodici anni fa qui in terraferma proprio per sviluppare gli aspetti sociali del Cristianesimo su mandato dell’allora patriarca Scola. L’onestà deve tornare ad essere un principio per tutti i cittadini».

Don Fausto Bonini, arciprete del Duomo di San Lorenzo si prepara a settembre a lasciare la parrocchia di Sal Lorenzo al suo successore, il veneziano don Gianni Bernardi.

Dodici anni fa, al suo arrivo a Mestre, don Bonini si sentiva un veneziano in terraferma. Ora le cose sono cambiate, ammette: «Oggi mi sento un veneziano mestrino e ho l’entusiasmo di chi si è convertito tardi. Ribadisco: io sono veneziano di nascita ma la mia vita ora è qui e non vedo differenze con il centro storico. Resterò a vivere a Mestre, mi trasferirò in un appartamento della Curia in via Costa e pagherò un regolare affitto. Resto a disposizione del Patriarca per altri incarichi, ma tornerò anche ai miei libri, ai tanti amici, ai miei viaggi. Ho tantissime cose da fare. Non mi ritiro: resto un prete e un cittadino di Mestre».

Quindi, niente addii ma un arrivederci. Prima dell’appuntamento di settembre, forse a ridosso della festività di San Michele, patrono di Mestre, don Bonini torna a riflettere sulla città, come ha sempre fatto in questi anni. A partire dagli ultimi scandali che hanno scosso i palazzi del potere veneziano.

«Quando ho detto ai benestanti della città (il riferimento è alla polemica sugli stipendi dei dirigenti comunali, ndr) che avevano perso un pezzo di solidarietà, parlavo del bene comune da tutelare e invece ho ricevuto anche attacchi. È evidente che serve una nuova direzione pubblica quando ti rendi conto che il mondo va avanti più per appartenenze che per meriti», dice il sacerdote.

Poi passa a parlare di Mestre. «Qualcosa si muove, non so se per rabbia o per consapevolezza. La nascita di tanti comitati per me è un aspetto molto positivo. Negativo è invece che ragionino spesso solo per logica privatistica, badando al loro orticello e basta. Non pensando all’interesse generale. Invece occorre lavorare su questo: la strada giusta è una città bella ma anche buona. Un luogo dove si vive bene riesce a rendere il brutto simile al bello ».

Don Bonini ricorda il lavoro per il bicentenario del Duomo e per dare dignità alla festività del patrono, San Michele; il richiamo all’angelo ora è pure nel nome del nuovo ospedale. «Abbiamo risvegliato Mestre e abbiamo fatto in modo che il patrono di Mestre venga festeggiato nella sua giornata e non la domenica successiva come capitava prima».

Ma Mestre la sua identità l’ha trovata? «Siamo ancora indietro, la ricerca continua ma rispetto a dieci anni fa le cose oggi sono cambiate. Mi piace vivere a Mestre. Certo, si tratta di una città disordinata che sembra mancare di una idea di fondo ma se si hanno gli occhi per vedere si nota che ci sono tante iniziative e cose da fare». Tra i suoi tanti interventi, ci sono le denunce contro il racket delle elemosine. «Siamo di fronte ad una organizzazione criminale che parte dai paesi dell’Est dove padroncini sfruttano questi disgraziati. Entrambe le denunce le rifarei subito perché il vero problema è la forbice che si allarga tra chi ha tanti soldi e chi non ne ha. E un altro aspetto poco considerato, anche dalla chiesa, è la presenza di cittadini di altri paesi. Occorre che la chiesa assuma un’iniziativa significativa per questi cittadini perché il nostro futuro è anche legato a queste nuove culture. Insomma, c’è molto da fare e io non mi ritiro. Voglio continuare a vivere di progetti».

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