Bar del duce, giù le serrande: «Troppe tasse»

Giannina Sandrin, 83 anni, ha deciso di chiudere il locale diventato una sorta di museo

SAN STINO. Giannina Sandrin ha 83 anni, vive e lavora a Sette Sorelle. È una nostalgica di Benito Mussolini e ha trasformato il suo bar in una sorta di Museo del fascismo, meta di nostalgici del regime. Ieri ha annunciato la chiusura dell’attività, che avverrà quanto prima.

«Non ce la faccio più a pagare tutte queste tasse», dice l’arzilla signora, «e il clima attuale è quello che è. Poi, con i tempi che corrono, beh, uno come lui (e lo fa indicando un busto del duce), risolverebbe davvero tanti problemi». Nel suo esercizio di fronte alla chiesa di Sette Sorelle, Mussolini è riprodotto in tutte le maniere: di profilo, a cavallo, su un quadro. Si vede anche un accostamento tra la foto del duce e quella di Papa Francesco, in buona compagnia dei predecessori Ratzinger, Luciani e Wojtyla. «Mi piacciono i papi, sono religiosa» commenta. Poi mostra orgogliosa le bandiere storiche, conservate in uno scatolone. C’è quella dell’80° anniversario della Marcia su Roma («Mio padre Enea ha partecipato a quella Marcia, ed è tornato con una pergamena e la firma di Italo Balbo». Poi quasi nasconde quella dello strappo di Fiuggi, la bandiera di Alleanza Nazionale.

«Meglio non ricordare», dice. Giannina Sandrin mostra le bustine da zucchero che riproducono il volto del duce e la bandiera della Repubblica Sociale Italiana. «Queste cose qui non si vendono, occorre andare a Predappio». Giannina Sandrin, con i suoi 83 anni, è una donna minuta e determinata. «Qui a Sette Sorelle non avevamo niente» commenta «La bonifica l’ha fatta Mussolini, così come ha fatto costruire la scuola, accanto alla chiesa». Dalla storia alla delusione di questi tempi. «Sono tempi grami» commenta «io non ce la faccio più con tutte queste tasse. Basta, ho deciso. Chiudo i battenti. Non ce la faccio. Io lavoro dietro al bancone da quando avevo 12 anni». Lucida i busti della buonanima nel suo bar.

«Ci sono persone che giungono da molto lontano solo per farsi fotografare». E forse per farsi raccontare qualcosa da quella memoria storica. Giannina ha resistito, fino a questo momento. Ora è costretta a gettare la spugna. (r.p.)

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