Banksy denunciato per imbrattamento a Venezia

VENEZIA. Banksy non smette di stupire: lo ritroviamo protagonista di un’indagine giudiziaria che sembra essere la sua ennesima performance artistica. Un’inchiesta per “imbrattamento”, finita con una richiesta di archiviazione presentata dalla stessa Procura, che consacra - anche dal punto di vista legale - i murales del più famoso street artist del mondo come opera d’arte.
Tutti lo conoscono, ma nessuno sa chi sia, così la pubblico ministero Federica Baccaglini ha scritto «Indagato: ignoto (Banksy)» nell’intestazione del fascicolo, che ha dovuto aprire dopo aver ricevuto la denuncia con la quale la Soprintendenza ha segnalato come «non autorizzato» il piccolo profugo con i piedi nell’acqua del Rio Novo e in mano un fumogeno rosa, apparso in un’alba di maggio a San Pantalon, per gridare forte la sua richiesta di aiuto al mondo.
Un murales che l’artista ha “firmato” pubblicandolo sul suo profilo Instagram, negli stessi giorni in cui si faceva beffe dell’inaugurazione della Biennale, facendo esporre a San Marco e in giro per la città - da sue “controfigure” - un puzzle di quadri e a rappresentare una gigantesca nave da crociera, che come un capodoglio si spiaggiava in bacino San Marco. Occhio d’artista: pochi giorni e la Msc Opera si sarebbe davvero schiantata a San Basilio.
Quanto al piccolo profugo meta di pellegrinaggi fotografici e osanna, a spingere la Soprintendenza ad intervenire è stato il fatto che la “tela” scelta da Banksy per la sua opera-denuncia sia la facciata di un palazzo sottoposto a vincolo storico e artistico.
Per dipingerla - scrive l’ufficio del ministero per i Beni culturali, citando il decreto legge 42/2004 - serve un’autorizzazione. Che naturalmente lo street artist non ha mai chiesto: così l’opera che ha fatto il giro del mondo, si è trasformata in un caso giudiziario. Per poco tempo: perché in Soprintendenza conoscono bene le norme, ma s’intendono altrettanto bene d’arte e riconoscono che il piccolo profugo - pur non autorizzato - un’opera d’arte indiscutibilmente lo sia, al punto che se il proprietario del palazzo (in vendita) volesse rimuoverlo, dovrebbe farlo staccandolo dal muro mantenendo l’integrità dell’opera. Così, la stessa Soprintendenza - se da una parte ha rispettato l’obbligo di legge di segnalare una violazione - al contempo ha indicato alla Procura la possibile via di uscita.
«Questo dipinto murale anche se illegittimamente realizzato», si legge nella denuncia, «risulta rientrare nelle disposizioni di tutela previste dall’articolo 11 della stessa legge 42/04, perché non si tratta imbrattamento, ma di un dipinto murale a carattere artistico, che non ha provocato danno e non ha deturpato la facciata. Qualora l’avente titolo volesse il ripristino, dovrebbe procedere al distacco del dipinto facendolo fare a un restauratore». Arte, dunque, al punto che la Soprintendenza conclude augurandosi che il piccolo profugo resti lì dov’è, «conservato in sito per una più ampia fruizione dell'opera pittorica».
Opera artistica, non reato: di questo si è convinta anche la pm Baccaglini, che ha depositato la sua richiesta di archiviazione, ricordando - del resto - come l’identità dell’autore sia sconosciuta. L’ultima parola spetta ora al giudice per le indagini preliminari, che potrebbe anche ordinare di perseguire Banksy per imbrattamento. Ma è “ignoto”: chi mai lo troverebbe? —
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