Banche, il dovere di reagire al disastro

La storia di Veneto Banca e Popolare Vicenza è un fallimento collettivo da cui è possibile ripartire. Insieme

La storia è purtroppo appena agli inizi. Gli effetti del tracollo di Veneto Banca e di Banca popolare di Vicenza li dobbiamo ancora vedere nella loro interezza. Ma sappiamo che 10-11 miliardi di valore perduto sono una enormità, tanto più perché questa ricchezza bruciata è in larga misura concentrata nella nostra regione. Decine di migliaia di famiglie venete sono alle prese con investimenti svaniti, inceneriti.

E migliaia di aziende sono alle prese con partecipazioni iscritte a bilancio che andranno quotate a zero. Zero. Se non saremo vigili, rischiamo di vedere pure tendere a zero la capacità di erogare credito da parte delle due banche popolari venete, perché esploderanno i contenziosi e gli aumenti di capitale in corso potrebbero finire pur essi nel gigantesco falò. E sarà da vedere in che misura il credito negato da Vicenza e Montebelluna sarà sostituito da altri istituti bancari, tenendo conto della fragilità di parte cospicua del comparto. Occorre il massimo della capacità di reazione.

L’onda sismica partita dai due epicentri di Montebelluna e Vicenza deve dunque ancora esprimere in toto il proprio potenziale distruttivo. Evitiamo di inseguire la chimera del puntello del governo, come è avvenuto per esempio con altre quattro banche semi-fallite (il caso Etruria è il più celebre, anzi il più famigerato). Allo stesso modo, i soci di CariGe, Monte Paschi, Banco popolare chi li dovrebbe risarcire delle perdite drammatiche subìte negli ultimi anni?

Il disastro delle banche popolari venete è stato consumato nella generale distrazione, e non parlo solo della scarsissima vigilanza esercitata dalla banca d’Italia. Gilberto Benetton un paio di giorni fa diceva di non essere interessato a investire in Veneto Banca. Ma non lo è da almeno 7-8 anni, perché da allora aveva compreso che i fondamentali della banca erano non credibili. Pochi come lui sono stati altrettanti lungimiranti, poche voci autorevoli hanno espresso valutazioni critiche e manifestato per tempo i dovutiwarning ai risparmiatori.

Meglio guardare in faccia la realtà, per quanto orrida sia. E provare a pensare in chiave di futuro e di rilancio. Paul Valery ci avverte: del passato ricordiamo solo le pagine belle. Ma il libro dell’esperienza va letto tutto insieme, per essere davvero consapevoli del cammino fatto e dei sentieri nuovi da inventare. Per esempio, non sarebbe tempo di provare a mettere in gioco una seria politica industriale di scala regionale capace di sostenere l’economia e di immettere nuova linfa nei circuiti?

A fronte della cessione delle quote detenute nella società di pubblici servizi AscoPiave, possibile che i sindaci venditori non abbiano manifestato altre idee che destinare allo sfalcio dell’erba i proventi delle azioni alienate? Possibile che dinanzi alle macerie non giunga alcuno scatto di orgoglio, di fantasia, di estro creativo da parte di alcuno? Non ci posso credere.

La classe dirigente deve tornare a essere tale, a tutto tondo, assumendosi il rischio di pensare e perseguire un disegno di riscatto. Che è possibile, scrivendo pagine nuove di sviluppo e coesione sociale. Che è possibile, avendo consapevolezza piena del fatto che il Veneto è pieno di storie formidabili e non solo di fallimenti.

Serve anche un nuovo racconto, una nuova retorica meno grigia, fatalista. Tocca prendere decisioni, tocca smettere con le politiche attendiste. Dalle macerie è possibile risorgere, ce lo insegnano i nostri padri che dalle distruzioni belliche hanno saputo innescare una stagione di straordinario sviluppo. Ce lo insegnano i friulani, che sulle rovine generate dal terremoto di 40 anni fa sono stati capaci di ritrovarsi e ripartire. Più di recente, ce lo insegna un numero enorme di aziende che hanno saputo reinventarsi. La vicenda delle due banche venete è un fallimento collettivo, ma può essere interpretata come una boa. Ripartire è possibile. Insieme.

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