Bancarotta, condanna per Antonio Pacifico

Eraclea. All’imprenditore edile due anni e dieci mesi. Il pm ha chiesto anche quattro anni e dieci mesi per estorsione
Di Giorgio Cecchetti

ERACLEA. L’imprenditore napoletano trapiantato da tempo a Eraclea Antonio Pacifico, per il quale il pubblico ministero Roberto Terzo ha chiesto ben quattro anni e 10 mesi di reclusione per estorsione aggravata dall’uso di metodi mafiosi, è stato condannato lunedì pomeriggio a due anni e dieci mesi di carcere per bancarotta fraudolenta a seguito del fallimento della “Pacifico srl”, l’impresa edile che - stando all’accusa - a lui faceva riferimento. A condannarlo il giudice veneziano Marta Paccagnella dopo che il difensore, l’avvocato Walter Drusian aveva chiesto il rito abbreviato in modo da usufruire dello sconto di un terzo sulla pena finale. Con Pacifico, dello stesso reato, era imputato anche il nipote Carlo Comando, che è stato rinviato a giudizio in quanto rappresentante legale della società. Secondo il capo d’imputazione, l’imputato in qualità di direttore dell’impresa avrebbe fatto sparire o, meglio, distratto trentamila euro, sottraendoli ai creditori. Il magistrato aveva chiamato a testimoniare anche il curatore fallimentare della «Pacifico srl», il quale avrebbe sostenuto che il vero amministratore era proprio Pacifico, mentre sulla carta ad apparire era il nipote. Il pubblico ministero Federico Bressan aveva chiesto un pena superiore ai tre anni. Il difensore aveva puntato a sostenere che l’imprenditore era davvero un semplice dipendente dell’impresa edile condotta dal nipote.

Il procedimento per il quale il pm Terzo ha chiesto la pesante condanna a quattro anni e 10 mesi si svolge, sempre con rito abbreviato, davanti al giudice Barbara Lancieri e, dopo la requisitoria dell’accusa, il prossimo 9 ottobre toccherà ai difensori tenere le loro arringhe. Pacifico assieme ad un socio, Francesco Verde, e a quattro napoletani giunti a Caorle appositamente dal capoluogo partenopeo il 2 marzo di tre anni fa avrebbero pesantemente minacciato l’ex vicedirettore dell’agenzia di Caorle della Banca del veneziano Federico Marchesan e un suo amico. Li avrebbero legati ad una sedia infilandogli la canna di una pistola in bocca per farsi consegnare 60 mila euro (erano partiti dalla richiesta di un milione). «Non mi interessa come, non mi interessa in che maniera, ma tu domani mi farai avere un milione di euro, altrimenti vi uccido, a te e Gino Crema». E ancora: «Se non mi porti i soldi ti ammazziamo, se scappi ti troviamo, se vai dai carabinieri sai che sappiamo dove abiti tu e la tua famiglia. Noi siamo una famiglia, tu sei da solo. Ti possiamo fregare quando e come vogliamo». Queste le minacce che i napoletani rivolgevano ai due, utilizzando la loro provenienza. In realtà, Marchesan e l’amico, alleandosi attraverso Pacifico con i napoletani, avevano ideato una truffa attraverso un giro d’assegni che passava per l’agenzia bancaria di Marchesan. Un raggiro che alla fine era fallito e per questo Pacifico e i napoletani volevano rifarsi sul bancario e l’amico.

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