Artale e lo sterminio di Auschwitz

PORTOGRUARO. Giornata della Memoria al Collegio Marconi alle 10 con Samuel Artale, sopravvissuto di Auschwitz, all'epoca un bambino di sette anni, oggi ingegnere. «L'oblio spegne la luce e quando questo accade», ammonisce Samuel Artale, «impedisce alle nostre coscienze di vedere i segnali che preannunciano la rinascita di nuove forme di violenza e terrore».
Lager di Auschwitz-Birkenau: un nome sconosciuto ai più fino a quando non entrarono in questa struttura infernale, la negazione del futuro. Giorni e notti in viaggio, stipati in carri bestiame, maleodoranti, senza aria e senza la possibilità di vedere fuori. Dai vagoni ferroviari scesero uomini, donne e bambini, dai volti stralunati, inebetiti, i visi allampanati, messi in fila poi separati: i figli dalle madri, le donne dai mariti, ogni sogno di bambino infranto, ogni futuro negato. Erano giunti ad Auschwitz nome tristemente famoso insieme a Birkenau, le fabbriche della morte. Questa la terribile esperienza di un bambino di sette anni, Samuel Gaetano Artale, uno dei pochi sopravvissuti di Auschwitz, quando il 13 aprile del 1944 venne strappato dai suoi familiari e rinchiuso in una baracca in mezzo agli adulti. E da quel giorno imparò suo malgrado a sopravvivere tra sofferenze indicibili, paure di bambino, incarichi atroci e disumani fino a quando il 27 gennaio 1945 avvenne la liberazione ed il successivo trasferimento in America. Dopo una vita di studi, l'amore di una propria famiglia. L'ingegner Artale non avrebbe più voluto ricordare questa tristissima parentesi di vita, ma di fronte a continui espisodi di negazionismo, ha deciso che non era più possibile tacere. E per questo oggi è al Collegio Marconi, con gli studenti: «Tutto ciò che è necessario per il trionfo del male», dice l'ingegner Artale, «è che gli uomini di bene non facciano nulla».
Giampiero del Gallo
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