Altri 5 anni di carcere al boss Pattarello

Era il capo della banda dei “mestrini” legata a Felice Maniero. Accusato della rapina all’Excelsior

È stato uno dei boss dei mestrini ed ha partecipato alle azioni più cruente e pericolose guidate dallo stesso Felice Maniero, poi si è deciso a parlare, ma ha raccontato soltanto alcune verità “scomode”, quelle che stando a lui potevano dare fastidio al capo che nel frattempo si era pentito e aveva fatto finire in manette almeno un centinaio di fidati collaboratori. Ieri, è tornato sul banco degli imputati Paolo Pattarello, già condannato a una trentina d’anni per gli omicidi dei fratelli Rizzi e del cugino, per la rapina al trano di Pianiga al termine della quale rimase uccisa la studentessa trevigiana Cristina Pavesi e per altri reati.

Da quelle accuse, però, erano rimaste fuori alcune imprese criminali, tra le quali la famosa rapina all’hotel Excelsior, quella alla Pinacoteca di Modena, dalla quale sparirono cinque quadri di gradi pittori, e la sparatoria contro il campo rom in provincia di Bergamo.

I giudici del Tribunale di Venezia, presieduti da Savina Caruso, hanno condannato Pattarello ad altri cinque anni di reclusione, così come aveva chiesto il pubblico ministero Paola Mossa.

«È uno scandalo che nessuno di noi sia stato imputato per l'assassinio di Cristina Pavesi. Ci hanno contestato la rapina e io non sono mai stato condannato per quell'assassinio. Lo hanno fatto per aiutare Giulio Maniero. Continuo ad avere un grande rimorso per la morte di quella ragazza».

Aveva cominciato così Pattarello, nell’aula bunker di Mestre, per rispondere alle affermazioni di Maniero. Voleva provare che il boss aveva riferito solo quello che gli aveva fatto comodo. Aveva sostenuto la sua verità. Sulla morte dei fratelli Rizzi, uccisi secondo lui perché Maniero temeva che lo volessero ammazzare. E poi aveva spiegato di quando fu lui ad acquistare un fucile di precisione con cannocchiale che Maniero intendeva utilizzare per ammazzare il giudice Francesco Saverio Pavone che all’epoca lo stava processando e alla fine lo fece condannare a 33 anni. Per organizzare l'attentato, poi non compiuto, fecero anche dei sopralluoghi nei pressi dell'abitazione di Pavone.

Giorgio Cecchetti

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