A Venezia, la mostra sulla storia della Pubblicità farmaceutica
Esposta all’ospedale Santi Giovanni e Paolo di Venezia, l’idea della mostra è del professor Leonardo Punzi

ll mal di denti dei bambini? Si curava con la cocaina. E la tosse? Con lo sciroppo “baby killer” prodotto per la prima volta nel 1849 nel Regno Unito e in America. Una goccia del medicinale aveva un contenuto di morfina, ricavata dall’oppio, pari a 20 gocce di laudano, quanto basta per uccidere un bimbo.
Eppure questi messaggi pubblicitari erano rivolti alla popolazione liberamente, visto che i derivati dall’oppio erano disponibili senza prescrizione medica. Quando le autorità si sono rese conto dei gravi danni che queste sostanze provocavano, ne hanno sospeso la pubblicità negli Usa a partire dal 1931.
Tuttavia, ciò non ha impedito agli oppioidi di continuare ad essere ampiamente adoperati, talvolta con gravi conseguenze, che oltre alla dipendenza potevano provocare la morte. L’attualità di tali aspetti è stata ben rappresentata dal film “All the beauty and the bloodshed” che ha vinto il Leone d’oro all’ultima mostra del cinema di Venezia, in cui si denuncia la dipendenza da ossicodone per curare una tendinite che ha rovinato la vita a Nan Goldin, fotografa e attivista americana.
Tutto ciò viene messo in luce nella mostra sulla storia della Pubblicità farmaceutica, esposta all’ospedale Santi Giovanni e Paolo di Venezia. L’idea della mostra è del professor Leonardo Punzi, direttore dell’istituto di storia della Reumatologia, supportato dalla Sir. “La pubblicità è nata a metà ‘800 con la seconda rivoluzione industriale e l’immissione in commercio di numerosi prodotti.

La popolazione aveva soprattutto bisogno di farmaci antidolorifici e le aziende hanno cercato di promuoverne il consumo attraverso manifesti o inserzioni sui giornali. Nel 1860-70 i principali analgesici erano i derivati dell’oppio tra cui la morfina, l’eroina e la cocaina il cui consumo veniva incentivato anche tra i bambini. Ovviamente il tutto va ricondotto al contesto storico dell’epoca nel quale gli scienziati ignoravano gli effetti devastanti sull’organismo indotti dalle droghe, perché era urgente soprattutto lenire le sofferenze.

La svolta è arrivata nel 1897 con l’aspirina che provoca una vera rivoluzione. Il boom d’interesse creato dal nuovo farmaco, sia analgesico che antinfiammatorio, ha condizionato le aziende farmaceutiche, la ricerca scientifica e anche la pubblicità”. Tutto ciò viene ben rappresentato dalle inserzioni sui giornali e dai manifesti, in gran parte concessi dalla Fondazione Salce di Treviso, forse il museo del manifesto più importante del mondo, diretto da Elisabetta Pasqualin. “L’aspirina ha permesso di distinguere anche il dolore di origine infiammatoria, secondario alle malattie reumatologiche”, aggiunge il prof Roberto Gerli, presidente della società italiana di Reumatologia.
“Per il dolore non infiammatorio sono sorte altre modalità terapeutiche meno aggressive, come i cerotti, le creme, e anche le terapie termali”. In questo contesto l’Italia è stata leader in Europa, come mostrano gli splendidi manifesti che pubblicizzavano le varie stazioni tra cui principalmente Abano Terme. La dottoressa Pasqualin durante l’inaugurazione a Venezia sottolinea con orgoglio che i manifesti erano firmati da grandi artisti, Dudovich e Leonetto Cappiello. Per indicare i progressi della reumatologia il professor Gerli ricorda poi che agli inizi dell’800 l’unica conosciuta era la gotta, mentre adesso se ne riconoscono almeno 150. Contemporaneamente alla mostra si è tenuto il II congresso dell’Istituto di Storia della Reumatologia che ha sede a Venezia, all’ospedale civile Santi Giovanni e Paolo: quest’anno si è occupato soprattutto di medicina di genere, nuova frontiera della cosiddette terapie di precisione o personalizzate. Ma anche qui c’è una lunga storia su cui riflettere, spesso sottaciuta, come tutte le malattie che riguardavano le donne in passato.
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