Tomas De Marchi, il braccio di ferro che mette in fila i più forti del mondo

Reduce dal titolo mondiale nella categoria +100 Master conquistato in Romania, il campione veneziano racconta la sua carriera 

lA STORIA

Si dice che la stretta di mano racconti una persona più di tante presentazioni. Nel caso di Tomas De Marchi, quella stretta equivale ad una vera e propria carta d’identità digitale: presa gentile ma granitica, dita enormi, pelle rigida come cuoio, e quel muscolo tanto sviluppato alla base tra pollice ed indice che i comuni mortali neanche sanno di avere. Innestata su un corpo di 125 chili per quasi due metri di altezza, una mano che non sorprende abbia sbaragliato il resto del mondo nella categoria dei pesi massimi agli ultimi Mondiali di Braccio di Ferro (Armwrestling nella dizione internazionale) che si sono svolti in Romania tra fine ottobre ed inizio novembre. «Una soddisfazione enorme, anni di allenamenti ripagati con un titolo che alla vigilia sentivo di poter meritare, ma che in una competizione di questo livello è soggetto a talmente tanti fattori che certezze non ce ne sono mai». Tomas parla della sua avventura iridata con un tono gentile, ancora pieno di emozione, cercando spesso lo sguardo di Katia, sua moglie, una che in questa disciplina è forse ancor più conosciuta di lui, considerata com’è da qualche anno la numero uno tra gli arbitri internazionali dopo aver iniziato un po’ per gioco, un po’ per amore e molto per una specie di vocazione improvvisa. Una gara durissima, quella ospitata dal Palazzetto di Constanta, sette incontri di cui uno perso in qualificazione per falli contro lo sloveno Peter Spusta, poi reincontrato (e battuto) sia in semifinale che nella finalissima grazie al cosiddetto sistema a doppia eliminazione. «Con lui la sfida è diventata quasi un derby da quante volte ci si incrocia a tutti gli eventi più importanti» prosegue nel racconto il colosso veneziano. «Tecnicamente ci conosciamo molto bene, la differenza la fanno la determinazione e lo stato di forma del momento. In semifinale e poi in finale stavolta però non c’è stata storia, volevo quel titolo a tutti i costi e così me lo sono andato a prendere, punto».

Gare che spesso durano un battito di ciglia, nemmeno il tempo di chiamare lo start che già uno dei due è col braccio accasciato: eppure, per arrivarci, gli allenamenti sono tanti e belli pesanti, ogni santa settimana che casca sulla terra, per tutto l’anno. «E’ uno sport magnifico, dove la testa conta quanto il fisico, perché solo il gusto della sfida con se stessi e la capacità di restare sempre motivati porta ai risultati. Il braccio di ferro è profondamente onesto, perché la prova di forza è diretta, senza filtri, c’è contatto fisico ma nessuna violenza, e quello che hai di fronte è sempre e solo un avversario da rispettare, mai un nemico da disprezzare». Una storia d’amore cominciata per puro caso, una folgorazione sulla via per una Damasco camuffata da negozio di integratori: «All’epoca frequentavo la palestra della Polisportiva Terraglio di Mestre, dove molti giocatori degli Islanders di football americano andavano ad allenarsi» ricorda De Marchi, «vedendomi grande, grosso e discretamente forte mi hanno più volte chiesto di andare a provare con loro, poi però ho cambiato palestra per gli orari incompatibili con il lavoro (si occupa di organizzazione eventi di lusso nel veneziano, ndr), e la cosa è sfumata. Un giorno capito in un negozio di integratori, lì c’era il grande Frank Lamparelli (chioggiotto classe ’79, già Campione del Mondo tuttora tra i più forti in categoria Master, ndr) che faceva delle dimostrazioni su un tavolo da competizione. Ho provato, mi è piaciuto subito, lui mi ha detto che avevo i numeri giusti per provarci sul serio, e così è stato».

Gli inizi sono con il Team Venice Lions dello stesso Lamparelli, in una palestra della Cipressina a Mestre: in pochi mesi i progressi sono evidenti, ai primi campionati italiani arriva infatti subito un quinto posto che senza qualche ingenuità poteva essere già ben altro. «Meglio così, ripensandoci: quel campionato mi ha insegnato a restare umile e a continuare ad imparare, avessi portato a casa subito qualcosa di importante forse oggi non sarei qui, perché mentalmente l’approccio alle gare conta tantissimo, e quella delusione mi è servita davvero tanto». Da quel momento, quattro allenamenti a settimana, tre di palestra ed uno al tavolo, spesso a casa. «Da quando abbiamo fondato la Serenissima Armwrestling capita che da me non ci stiamo più, così abbiamo chiesto la collaborazione del Mogliano Rugby, che gentilmente ci presta uno spazio per il tavolo e per le sessioni: siamo in più di venti atleti, la metà di origine est-europea, alcune donne, fortissime e super determinate». Tra queste, Carmela D’Apice, 90 chili di dinamite. «Lei è il nostro test d’ingresso per gli aspiranti atleti maschi», prosegue divertito il campione del mondo. «Se tornano anche dopo essere stati battuti - e tutti vengono battuti da lei la prima volta - allora c’è la motivazione su cui lavorare. Ma tanti rinunciano, è una selezione naturale che funziona bene». Sono circa 600 i tesserati in Italia, distribuiti soprattutto tra le regioni leader Veneto, Lombardia, Sicilia, Toscana e Marche: nel mondo, invece, la tradizione parla soprattutto le lingue dell’Est Europa, con Kazakistan, Turchia, Georgia e Russia a guidare un movimento che ha anche una sua espressione paralimpica. Grossa anche la scena USA, che dopo il successo del film “Over the Top” con Sylvester Stallone ha visto impennarsi i praticanti: «Ma lì prevale ancora il fenomeno delle gare a premi nei bar, mentre in Europa le principali federazioni stanno spingendo per candidarla a specialità olimpica». Ora che l’oro del Mondiale luccica nella sua bacheca, per De Marchi si profila un 2020 con nuovi obiettivi: «Punto all’Europeo di maggio, sarà in Ungheria e conto di arrivarci al massimo». —

Gianluca Galzerano

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