«Sottocanestro ho trovato la mia voglia di lottare»

Basket in carrozzina. Una storia di grande forza e coraggio più forte del male Vickson Ezeanyim, dalla Nigeria a San Donà e a Padova sognando Kobi Bryant
Di Mattia Rossetto

PADOVA. Un tumore in età adolescenziale, gli ha portato via una gamba, ma non ha potuto estirpagli la sua voglia di vivere. Vickson Ezeanyim (23 anni), amputato di origine nigeriane, ora residente a Padova ma con la famiglia a San Donà, ha trovato nel basket in carrozzina del Cus Padova (serie B) la “medicina” alla sua malattia. Il suo calvario prese il via a settembre 2004, quando un osteosarcoma non diagnosticato in tempo dai medici lo costrinse nel giugno 2005 all’amputazione della gamba destra. «Avevo 14 anni», ricorda Ezeanyim, «i medici mi diagnosticarono una cisti, accorgendosi troppo tardi che si trattava di un tumore. Fu un’amputazione forzata, dovuta a un caso di malasanità. Quando mi hanno detto che mi avrebbero amputato l’arto al reparto di ortopedia dell’ospedale Rizzoli di Bologna, il tumore era ormai esteso. Avevo già fiutato nell’aria che non vi sarebbe stata possibilità di salvare la gamba. Psicologicamente è stata durissima, non ce la facevo più, andavo avanti da quasi un anno e volevo uscire da quella situazione. Ma ho sempre affrontato la malattia come una lotta senza perdermi d’animo. Non ho mai voluto vederla come se fosse un problema. E tuttora non mi sento diverso dalle altre persone».

Nato a Roma, Vickson si era da poco trasferito con la famiglia a San Donà di Piave, dove ora dalla residenza universitaria Ceccarelli di Padova torna a trovare i parenti. Sognava di giocare a basket emulando Kobe Bryant, campione Nba dei Los Angeles Lakers. In seguito all’amputazione e alle cure alla Città della Speranza, però, ha ingaggiato un’altra battaglia con la disabilità imparando a camminare con una protesi. «Da piccolo mi piaceva correre. A 11 anni giocavo a pallacanestro. Dopo aver perso la gamba, sono rimasto fino a 18-19 anni abbandonato a me stesso. Un giorno, però, a mio zio un suo rifornitore chiese se volevo provare con il basket in carrozzina a Treviso. Iniziai ad allenarmi, ma la società non poteva tesserarmi perché pur essendo nato in Italia non avevo la cittadinanza italiana. Poi, cominciai a frequentare la facoltà di sociologia all’Università di Padova e dovetti abbandonare la squadra». Ma anche in questo caso Ezeanyim non si è dato per vinto. E il destino stavolta gli ha restituito il credito con la fortuna. «L’ho visto giocare su un campetto all’aperto vicino alla residenza universitaria dove alloggiavamo, vestito con una canotta da basket (quella di Kobe Bryant, ndr)», rivela Davide Brotto, allenatore-giocatore del Cus, «gli ho chiesto se era interessato a far parte della nostra squadra e si è subito dimostrato entusiasta».

«Fu un incontro perlomeno casuale», conferma Vick, che oltre a studiare ha girato anche qualche video rap e hip-hop con il Trio Flagello, «ci siamo incontrati nel giorno in cui stavo sbaraccando tutto per andarmene. Al Cus, sono entrato in contatto con un ambiente, in cui tutti hanno disabilità più o meno gravi. È stato in questo contesto che ho capito come accettare la mia diversità. Il basket in carrozzina mi ha aiutato moltissimo diventando il mio stile di vita. Quando cadi con una carrozzella, sai sempre che puoi rialzarti con le tue forze. Basta volerlo».

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