«Quella volta uscii con i carabinieri»

MESTRE. Frasi celebri rimaste storiche, espulsioni epiche, episodi e aneddoti da riempire libri. Belligrandi è un diesel, comincia con un “ma va là, lascia perdere” e finisce con i fuochi d’articio che neanche a Fuorigrotta per Capodanno. Qui si rivela il suo essere d’altri tempi: buttiamola in risata, parliamo di calcio, che prendersi troppo sul serio significa non aver capito niente. «A volte la frase ad effetto serve per caricare la squadra. Un giorno dissi ai ragazzi: “ricordate, i dettagli fanno la perfezione, ma la perfezione non è un dettaglio”. Ricordo quindici facce con gli occhi sbarrati a cercare di capire cosa volevo dire. Il mister xe mato, ha pensato qualcuno».
E quel baruffone con Del Neri? «Io nel San Donà lui nella Pro Gorizia. Faccio rientrare Castellan dopo mesi per un incidente al ginocchio, “non fasciarlo”, gli dico “sennò ti centrano subito. Lui si fascia il ginocchio e dopo 3’ uno del Gorizia gli entra con la pianta del piede. Sono andato da Del Neri a dirgliene quattro, sulla sua panchina. E l’arbitro mi ha espulso».
Rapporto difficile con gli arbitri. «Traumatica la mia prima da allenatore – racconta Belligrandi – siamo in D, con lo Jesolo andiamo ad Abbiategrasso. Dopo l’appello l’arbitro, un toscano, mi dice: “Belligrandi, sono contento che ora lei sia allenatore. Perché da giocatori me ne ha combinate tante, mi ricordo. Ora darà l’esempio ai suoi giocatori. E sull’1-0, appena ho aperto bocca, mi ha espulso».
Tante squalifiche. «Una volta, esasperato, Granzotto mi disse: ti pago per andare in panchina, non in tribuna. Se ti squalificano mi tengo i soldi. Ma non era vero. Orfeo è stato un grande presidente, non metteva il naso sulla squadra, voleva vincere e divertirsi. E con me gli è successo spesso».
Il rapporto con i colleghi? «Nessuno si offenda, ma il più simpatico e divertente era il povero Ennio Gazzetta. Che belle le serate a cena con lui. Ma stavo bene anche con Fonti e Rocchi, con loro si parla più di calcio, ma si ride meno».
E quella volta che è uscito scortato dai carabinieri? «Ero ancora giocatore. Anni Settanta, Imperia-Treviso, due partite alla fine, entrambe le squadre in lotta per la salvezza ma il pareggio era buono. Sapete come sono, mi carico facilmente, vivo la partita nella mia trance agonistica. Insomma, facciamo quattro giorni di ritiro in Liguria, poi si va allo stadio e tutta la città è tappezzata di biancoceleste. Biancocelesti loro, biancocelesti noi. Bandiere, striscioni, roba da scudetto del Napoli. E io sempre più carico. Giochiamo, stadio completamente biancoceleste, solo che i nostri tifosi erano in un angolo. Siamo 0-0 e va bene così, a cinque minuti dalla fine l’allenatore Magistrelli mi dice: “Giorgio, tieni la palla, non passarla a nessuno, fai scorrere i minuti”. Sognavo da vent’anni un allenatore che mi dicesse così. E tengo la palla, solo che all’89’ ne scarto uno, ne scarto un altro, che faccio, butto fuori? no, sarebbe disonesto, e allora scarto il portiere e faccio gol. Pazzo di gioia, alzo la testa, vedo biancoceleste e corro verso la curva, urlo e mi aggrappo al cancello. Ma era la curva dell’Imperia. Vi lascio immaginare. Alla fine mi sono messo perfino il cappello da carabiniere per uscire. Volevano la mia pelle». (c.cr.)
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