«Nel nuovo centro fioretto e sciabola e uno staff tecnico che allargheremo»

L’oro Mauro Numa allena la promessa olimpica Martina Favaretto ma è anche dirigente della sala Antoniana da lui fondata nel 2017  
Bolognini Conegliano Mauro Numa campione europeo di sciabola
Bolognini Conegliano Mauro Numa campione europeo di sciabola

l’intervista



Oro olimpico da atleta, maestro della campionessa di fioretto del futuro, presidente di una società che sta crescendo nell’Alta Padovana e che, da settembre, disporrà di un impianto nuovo di zecca. Mauro Numa è sempre al top e, anche nei periodi più complessi come l’ultimo dominato dal Covid, riesce a estrarre il classico coniglio dal cilindro. È il caso dell’Antoniana Scherma, sala da lui fondata nel 2017, prima con sede in una scuola di Camposampiero, e a breve spostata a San Giorgio delle Pertiche, lungo la statale del Santo, per sfruttare nuovi spazi e fare le cose in grande.

Mauro Numa, come nasce questo progetto?

«Il padre di una allieva ha investito per creare un grande centro sportivo basato sulla scherma, ma troveranno spazio anche danza, kick boxing, una palestra, un centro fisioterapico e, in un secondo momento, quattro campi da paddle e un bar».

Lei è presidente e responsabile tecnico dell’Antoniana.

«Sì, ma allargheremo la base di lavoro e lo staff tecnico. Oltre a me, come maestro, ci saranno Ugo Galli e Marina Bolis. Poi Alberto Pellegrini, padovano doc che disputa ancora la Coppa del Mondo di Sciabola e che si sta formando come istruttore, così come Luisa Zorzi che è anche vice presidente».

Obiettivi?

«Intanto proseguire con il nostro lavoro incentrato sul fioretto, poi apriremo alla sciabola e c’è il progetto anche per la spada, così da coprire tutte e tre le armi. Infine i corsi Master. Puntiamo a raggiungere il centinaio di iscritti per la prossima stagione, coprendo tutte le categorie da Esordienti e Prime lame fino agli Assoluti e Master».

Il suo legame con il Circolo Scherma Mestre?

«Sempre forte, e rimarrò anche da loro come maestro, seguendo Martina Favaretto che è tesserata lì».

Si immaginava maestro e presidente di una società?

«Ho coltivato questo sogno insegnando ai bambini. Mi piaceva l’idea di una gestione mia, fare qualcosa in un territorio come l’Alta Padovana. Dall’anno scorso abbiamo anche una piccola sede distaccata a Cadoneghe dove, prima della pandemia, era pronto a partire un corso con venti aspiranti fiorettisti».

La nuova sede è stata una fortuna?

«Decisamente, perché il Covid potrebbe in autunno creare problemi a tutte quelle società sportive che sfruttano spazi nelle palestre delle scuole. Noi potremo disporre di una decina di pedane, ampliandole fino a 14 su 800 metri quadrati di spazio».

Com’è allenare il miglior prospetto della scherma italiana?

«Una grande soddisfazione. La seguo da 7 anni, è l’atleta perfetta: si impegna, vuole arrivare, non fa capricci, è determinata, ha talento e vive con i piedi per terra. Così farà strada. Nell’ultima stagione, prima dello stop alle gare, ha vinto Europei e Coppa del Mondo Under 20, la prima prova Giovani. Peccato per il Mondiale annullato. A novembre si riparte, ma temo che sarà compromessa anche la prossima stagione se il Covid non sparirà».

Oro olimpico lei, e Favaretto in rampa di lancio per Parigi 2024.

«Dico che trovo maggior soddisfazione nel vedere potenzialmente Martina arrivare alle Olimpiadi, rispetto a quando le vinsi io. Perché è il coronamento del lavoro di un maestro. Vincesse sarebbe ancora meglio, ma andiamo con calma. Ha ancora molto margine di crescita».

Tokyo 2020 rimane impossibile?

«La squadra azzurra del fioretto c’è e Martina deve pensare di giocarsela per Parigi 2024, l’età è dalla sua parte, ha solo 18 anni».

Qual è lo stato di salute della scherma veneta?

«Il futuro è roseo. Da Venezia a Padova, da Verona a Treviso, ci sono tantissime società che possono vantare ottimi atleti, soprattutto nel fioretto. Il livello dei maestri è molto alto, con la scherma sdoganata dai grandi centri e ora molto diffusa».

Mestre tra il 1970 e il 1995 è stata un caso irripetibile?

«Era il fulcro della scherma mondiale, più unica che rara. Ci formavamo tutti con Livio Di Rosa, e da atleti quasi tutti siamo diventati maestri ora sparsi in Italia e nel mondo».

Pensa che Di Rosa sarebbe contento del suo ruolo odierno?

«Credo di sì, lui è stato il più grande, e avevamo un rapporto schietto, mi ha sempre lasciato abbastanza indipendenza in pedana. Nella nuova sala metterò sicuramente il suo ritratto affisso a una parete».

Il Covid ha pesato tanto sulla scherma?

«Ha fatto perdere una stagione. Mi preoccupa il rientro, specie per le società più piccole che non hanno sponsor, o non hanno una sede indipendente. Poi era un anno particolare, l’ultimo del quadriennio olimpico, per la scherma sempre il più faticoso nel trovare nuovi iscritti. L’Olimpiade dava visibilità alla nostra disciplina, e in tanti arrivavano a iscriversi in settembre».

Sbagliato equiparare la scherma agli sport di contatto?

«Assolutamente sì, perché il contatto non c’è e si è interamente coperti da divisa e maschera. Sono stati fatti errori nella gestione, potevamo riprendere molto prima l’attività. Ma ha prevalso l’interesse economico legato al calcio, dove il contatto è ben superiore al nostro». —



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