Molin, prima stagione senza calcio

MARANO DI MIRA
Dopo quarantanove primavere passate sui campi di gioco questa è la prima senza calcio. Con una sola breve sosta anche per allenare il Rio San Martino, per poi ripartire e terminare la propria carriera assieme al figlio. E’ la storia di Andrea Molin, classe 1962, bomber di razza, una vita legata al pallone.
«Ho cominciato a giocare a sei anni a Marano di Mira per poi passare alle giovanili della Miranese dai giovanissimi sino agli allievi. A sedici anni l’esordio in promozione con la prima squadra e una grande opportunità. Andai due volte a Torino a fare i provini per la Juventus, ma ero troppo giovane e se fosse successo cinque, sei anni dopo probabilmente le cose sarebbero andate diversamente». Niente Torino, dunque, e Molin torna a casa per iniziare un lungo percorso nelle categorie dilettantistiche venete, che si interrompe solo adesso, a 49 anni.
«Avevo cominciato nella Miranese, passai dai bianconeri al Caltana per una cifra quasi da record all’epoca in Seconda Categoria, quasi sei milioni di lire. L’allora presidente Renato Favaro si era innamorato della mie capacità realizzative e spese questa cifra, io lo ripagai con 14 reti che ci condussero al terzo o quarto posto in classifica. Poi lo seguii alla Salese. A posteriori, forse ripartire da zero, dalla promozione alla Seconda, fu un errore di gioventù, ma rifarei tutto».
Si è conquistato presto la fama di goleador di razza. «Ho sempre segnato tanto, dalla Terza categoria alla serie D, ho vinto anche due volte la Coppa Bomber, trofeo per i capocannonieri che era messo in palio proprio dalla Nuova Venezia. La prima 19 reti, dopo la stagione in Eccellenza con il Dolo: avevo 32 anni e ricordo che a consegnarmi fu mister Zaccheroni, che era allenatore del Venezia. La seconda sempre a 19 reti a Istrana , e avevo 40 anni. Ma i due ricordi più vivi sono sicuramente legati alla stagione in D con la Luparense: avevo 34 anni, segnai un gol al “Tenni” in Treviso-Luparense e addirittura due reti al “Nereo Rocco” contro la Triestina, quando vincemmo 3-2».
Giocatore determinato e consapevole delle proprie capacità, Molin ha sempre rifiutato il ruolo di primadonna, mettendosi invece a disposizione della squadra. L’interesse del gruppo vien prima dell’interesse personale. «Umiltà prima di tutto – conferma l’interessato – metto sempre sul piatto la mia esperienza, se i più giovani me lo chiedono, ma ad ognuno il suo ruolo. Per me il calcio è sempre stato tutto, ho sacrificato molte cose per il pallone, per esempio durante la mia carriera non sono mai andato a letto tardi, ho cercato di fare una vita giusta, di ragazzo normale ma anche di uno che fa sport e che poteva essere d’esempio per gli altri. Ho vinto otto campionati. Nella mia vita ho conosciuto bravi compagni come Sambo, Sartori, Proni. Un allenatore? Sabbadin, un secondo padre, e poi voglio citare il presidente Paggin del Campodarsego che sta facendo di tutto per portare la società in serie D».
Ma alla fine a determinare il finale di carriera è stato ancora il destino. «Mi ero messo il traguardo dei cinquant’anni, giocare fino a 50 anni riuscendo a vincere, purtroppo l’anno scorso mi sono accorto che queste condizioni non c’erano. E allora ho scelto un’altra grande soddisfazione – conclude Molin – quella di giocare l’ultima metà stagione assiem a mio figlio Mattia al Ballò. Una cosa molto bella, non credo che siano in tanti in Italia ad avere questo primato. Per poco non facevamo gol tutti e due nell’’ultima di campionato. Un rammarico? Mi dispiace che la federazione non mi abbia ancora dato un riconoscimento alla carriera».
Alessandro Torre
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