Le nozze d’oro del Circolo Mestre con la scherma

Il mito nacque con il burbero maestro livornese Di Rosa Con lui una generazione di fenomeni che hanno vinto tutto
Di Simone Bianchi

MESTRE. Ci fu un uomo chiamato Livio Di Rosa che, lasciata la corte di Re Farouk in Egitto, si trasferì a Mestre per insegnare scherma. Quell’uomo livornese e burbero riuscì a far crescere e portare al successo in tutto il mondo i suoi ragazzi. Nacque così il mito del Circolo Scherma Mestre. Una società sportiva che ha un palmares talmente ricco da permettersi il lusso di non conteggiare nemmeno le medaglie d’argento e bronzo vinte ai campionati italiani. Un circolo che sta festeggiando il mezzo secolo di vita e che è passato alla storia per nomi quali Dal Zotto, Borella, Cipressa, Numa e Vaccaroni. E ancora Bortolozzi e Zennaro. Gente che ci invidiano ancora oggi in tutto il mondo per quel che ha saputo fare sulle pedane del pianeta, tirando di scherma come gli dei dell’Olimpo. E molti dei quali alle Olimpiadi hanno sbaragliato la concorrenza, in un ventennio da capogiro tra gli anni Settanta e Ottanta.

Gente cresciuta allenandosi in una stanza di pochissimi metri quadrati. Dove la pedana misurava 8 metri anziché 14 e le assi di legno sentivano il peso degli schermidori e del tempo. Stanza che da un lato confinava con le finestre della palazzina e dall’altro con una scrivania.

«Soprattutto quando tiravamo di sciabola si è rischiato di volare giù oppure ci è schiantati contro il tavolo, ma erano tempi memorabili», ricorda Roberto Zanata, uno dei “tanti” di quel gruppo meraviglioso agli ordini del maestro Di Rosa. Ragazzi cresciuti soprattutto con il fioretto tra le mani, ma che se si ripensa alla sciabola viene in mente subito Vittorio Carrara.

Un circolo dove la genìa della famiglia Borella s’è fatta sentire per lustri, partendo da Elsa e arrivando a Marco e Andrea. Il primo, ora presidente onorario e che assieme a Maurizio Galvan portò a casa i primi titoli tricolori del Csm, il secondo dominatore a lungo della scena mondiale con i Numa e Cipressa. Ragazzi che hanno davvero vissuto un’aria particolare, un periodo probabilmente irripetibile per lo sport dove, chiunque entrava in quella stanza dei sogni, ne usciva campione.

«La cosa bella era che Di Rosa trattava tutti allo stesso modo, che si fosse campioni mondiali o meno», ricorda ancora Zanata. E Marco Borella osserva: «Se chiudo gli occhi mi rivedo in quel sottoscala a 7 anni con Di Rosa davanti. Una persona unica, che ha cambiato la scherma italiana adattandola alla personalità del singolo. Era burbero, di calci e sberle ne abbiamo prese tutti e tanti, ma alla fine provavamo per lui un grandissimo affetto».

Per molti dei ragazzi di quella generazione di fenomeni, Di Rosa è stato un secondo padre, con il suo modo di intendere la vita e lo sport in via semplice e lineare. Ma nei cinque decenni di storia del Circolo Scherma Mestre di cose ne sono cambiate molte. E quest’anno la società di via Olimpia ha riportato in A/1 la squadra maschile di fioretto, con le ragazze quinte nella massima serie. Sono arrivati titoli italiani giovanili e Martina Sinigalia è riuscita a primeggiare anche a livello continentale con al timone “sportivo” il maestro Matteo Zennaro. «Di cose importanti ne sono state fatte tante quest’anno», fa notare il presidente Riccardo Sinigalia, «ma in questi festeggiamenti per l’anniversario il ricordo più importante è quel che va fatto per Nonino e Di Rosa. Se c’è questa grande storia da ricordare, il merito è loro e dei campioni che hanno costruito».

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