Hamilton lancia la sfida di Monza «Ferrari veloce, ma ci saremo»

dall'inviato

Stefano Mancini

MONZA. Ancora treccine e barba corta: Lewis Hamilton ha meno voglia di cambiare, nel look come nella vita. «Finirò la carriera in Mercedes», annuncia durante una chiacchierata al motorhome Mercedes con vista su un paddock mai così affollato il giovedì. È l’effetto Ferrari, il traino della vittoria in Belgio e della festa di mercoledì in Piazza Duomo a Milano per i 90 anni del Cavallino. Hamilton subisce il fascino dell’evento, ma è solo un attimo. «Mi piacciono le loro macchine stradali e mi emoziona il calore che nel mondo solo il podio di Monza sa trasmettere, ma io resto qui».

Cosa le dà tanta certezza?

«Mi sono immaginato di cambiare squadra, poi ho pensato a quanta fatica ci sia voluta per costruire ciò che ho adesso. Per esempio il rapporto con gli ingegneri: sono persone cocciute, ti dicono “questi sono i dati, è da vent’anni che facciamo così”. Ogni tanto ho dovuto scuoterli, per combinare la mia testa con la loro. Andassi in Ferrari dovrei ricominciare, e dopo un po’ direbbero "ma chi crede di essere questo"».

Lei lasciò la McLaren per la Mercedes.

«Da allora tante cose sono cambiate in meglio: prima non avevo un posto per poggiare i guanti o il casco, ora ho una stanza accanto alla sala briefing degli ingegneri e se mi viene un’idea la comunico subito. Sembrano dettagli, ma messi insieme fanno la differenza».

Si prevede un Gp d’Italia duro per la Mercedes.

«La Ferrari va forte in rettilineo e qui a Monza ci sono più rettilinei che a Spa, quindi sì, sarà dura in qualifica. In gara andrà meglio perché facciamo durare di più le gomme. Se piovesse sarebbe ancor meglio».

A che cosa pensa quando viaggia a 350 km/h?

«Guardo avanti alla ricerca di riferimenti visivi per trovare il punto di frenata. Non c’è tempo per pensare. Dai kart in avanti a ogni passaggio di categoria la velocità è aumentata: ci si abitua senza annoiarsi: sensazione stupenda».

Si rivede in Leclerc e Verstappen?

«Non amo i paragoni, ma capisco il momento che vivono».

Sono loro adesso gli avversari di riferimento?

«Non conta l’età. La sfida è con i piloti che lottano con te per il podio».

Quanto è stato difficile correre a Spa dopo l’incidente a Hubert?

«Ti rendi conto di colpo che può succedere. La prima volta mi accadde quando in una gara di kart morì un undicenne. È un pugno allo stomaco, ma si va avanti».

Come è cambiato il suo approccio alle gare?

«All’inizio ero egoista, contava solo il mio risultato. Ma 2mila persone lavorano per darmi la miglior macchina possibile, in pista devo prendere decisioni intelligenti anche per loro». —

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