Fortin, portiere a 43 anni: «La passione non finisce mai»

MESTRE. Buona regola è cominciare dalla notizia. Le chiacchiere vengono dopo.
Dunque: Fortin smette o Fortin continua?
«Fortin continua. Sì, la decisione è fresca fresca, ho deciso di fare un’altra stagione. Continuo perché sto alla Calvi e perché voglia e passione sono quelle di sempre. Il fisico regge, quest’anno non ho saltato un allenamento che sia uno, e quando mi guardo allo specchio in cerca di segnali che mi dicano di smettere, beh, per ora non riesco a vederne».
E già questo basta per capire chi è Marco Fortin. Un portiere con tanto di onorata carriera, prossimo ai 43 anni (data di nascita 8 luglio 1974), Forza fisica ma soprattutto forza interiore. Quella che ti fa superare le difficoltà, ti aiuta a vivere la professione con quell’ingrediente fondamentale che è l’entusiasmo».
Non si è mai chiesto “chi me lo fa fare? ”
«Mai. Il calcio mi piace, lo vivo attualmente nel modo giusto, sento che posso fare ancora qualcosa di buono. Alla Calvi sto bene, è il mio paese, vado al campo in bicicletta. Il giorno che penserò “chi me lo fa fare” avrò quel segnale, l’ora di smettere. No, al record di Andrea Pierobon non ci arrivo, e poi lui ha smesso in B».
I giovani della Calvi conoscono e rispettano la sua carriera? La sua storia?
«Carriera e storia fanno parte del passato, io dico che bisogna guardare avanti. I giovani devono rispettare la persona, le persone in genere. Con loro ho un rapporto paritario e mi va bene così. Poi è vero che i tempi sono cambiati. Quando entravo nello spogliatoio dell’Inter stavo ad ascoltare incantato. All’inizio avevo davanti Zenga e Abate, poi Pagliuca. Io, Fortin da Noale».
Un consiglio a chi sogna di fae il portiere. Anzi, tre cose da non fare assolutamente.
«Mai accontentarsi. Quando arrivi, in realtà stai cominciando. Poi non abbattersi mai, il portiere forte si vede dopo gli errori. Terzo, mai trascura i dettagli. Le cose che ti sembrano scontate sono invece quelle che possono determinare una partita, un campionato, una carriera».
La storia del portiere che dev’essere un po’pazzo?
«Frasi fatte. Dipende dal carattere del singolo. Magari un pizzico di sana follia ci vuole, dopotutto gli altri giocano in un altro modo e tu devi buttarti a terra, rischiare la testa e toccare il pallone con le mani. Per cui qualcosa di diverso c’è. Poi si fa il discorso del carattere. A Siena ho vissuto un anno con Manninger e gli avrò sentito dire quattro parole...» .
Quando sarà. resterà nel calcio?
«Assolutamente no. Far l’allenatore non mi piace e non sono capace. Scarto l’idea del preparatore dei portieri. Ho già pensato al futuro, lavorerò nel marketing».
Non le piace guardare inditro, ma ripensi a quando ha parato il rigore a Kaka.
«Soddisfazione? No, anzi il rammarico di aver perso la partita (2-1) con il Milan. Il giorno dopo mi chiamarono tutti i giornali, ma il fatto “centrale” era l’errore di Kaka, non la mia parata per il Siena. Lui pochi giorni prima aveva ricevuto il Pallone d’Oro...».
Però a Siena...
«Il periodo più bello della mia carriera. Una promozione e tre anni in serie A. Se domani vado a Siena la gente mi riconosce ancora, mi paga il caffè. Sono stato benissimo, città fantastica, i miei due figli grandi sono nati là, sono contradaioli, al Palio fanno il tifo per l’Onda».
A proposito, figli e famiglia.
«MAttia ha 14 anni, Maria 12, adesso c’è anche Matteo, arrivato due mesi fa. Mia moglie Mariangela è una donna eccezionale, fra poco festeggiamo i 19 anni assieme. Lei è psicologa, a volte sì, mi dice “chi te lo fa fare” ma poi vede che sono felice, e mi sprona a continuare. Nella mia formazione anche professionale devo dire grazie a mio padre, è stato fondamentale nelle scelte. Mattia fa il portiere nel Giovanissimi del Padova, non vado a vederlo per scelta, deve essere libero di esprimersi, la presenza di un genitore in tribuna è già un peso, se poi è un genitore portiere per un ragazzo che sta in porta...».
Un flash sui suoi allenatori.
Non faccio classifiche, ma posso dire il numero uno in assoluto: Marco Giampaolo. A Siena Conte quell’anno era l’allenatore in seconda ma si vedeva che sarebbe emerso, Tra i primi che mi vengono in mente anche De CAnio, Simoni, Gregucci, a Treviso ho avuto Bellotto, Sandreani, Orrico, Viscidi, la lista è lunga».

L’esperienza di Cagliari.
«Così così. Non sono andato male, ma là è più difficile entrare subito nel cuore della gente. A Cagliari c’erano i presupposti per far bene, ma tutto era troppo legato alle lune del presidente».
E a Cipro, come ci è finito?
«Il Vicenza mi aveva lasciato a piedi. Mi è stato proposto l’Aek Larnaca, ero scettico, ho detto andiamo a vedere e ho trovato una sorta di paradiso. C’era tutto, strutture, società, entusiasmo, e poca pressione. Trattamento ottimo, peccato non essere andati prima. Esperienza da dieci e lode, ho giocato in Europa League contro squadre importanti, in Italia non avrei avuto opportunità così. Ho imparato benissimo l’inglese e me la cavo anche in greco...»
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