Fango, sudore e botte per il Tricolore La favola di Silvia, Alessandra e le altre

MIRA. Le botte, il fango, il sudore, la fatica: degli ingredienti da impastare se si vuol masticare rugby non ne manca nessuno neanche in questa storia, quella di una squadra capace di vincere il suo...
Di Gianluca Galzerano

MIRA. Le botte, il fango, il sudore, la fatica: degli ingredienti da impastare se si vuol masticare rugby non ne manca nessuno neanche in questa storia, quella di una squadra capace di vincere il suo quinto scudetto avendo contro tutti i pronostici del mondo.

Non bastasse, il copione è però anche tutto al femminile, il che significa che il livello di difficoltà si alza enormemente, perché fare rugby se sei donna significa farlo alle stesse condizioni dei colleghi maschi, ma a differenza loro potendo aspirare al massimo ad una pacca sulla spalla. Niente televisioni, niente interviste, niente titoloni sui giornali: per il momento, il Comune di Mira ha esposto uno striscione celebrativo sulla facciata del Municipio, e la cosa non era nemmeno così scontata. Di soddisfazioni economiche, poi, nemmeno a parlarne. «A raccontare in giro quanta fatica, quanta dedizione ci siano dietro un risultato così, non ci si crede», dice commosso Enzo Loppo, fondatore e memoria storica del Club nato nel 1996, «Non credo di spararla alta se dico che le nostre ragazze sono un esempio di cosa significhi pura passione per lo sport e rispetto vero per quei valori del rugby adesso tanto di moda».

Lo scorso 28 aprile, per chi ancora non lo avesse capito, il Sitam Riviera del Brenta vince la finale del campionato di rugby femminile contro le strafavorite Red Panthers della Benetton Treviso: è l'ultimo capitolo di un romanzo che comincia 16 anni prima distribuendo un manifestino fotocopiato per bar e negozi lungo il Brenta. Le "attacchine" sono due, Silvia Pizzati e Alessandra Loppo: la prima è ora uno stimato commercialista con studio a Mestre, cinque volte campione d'Italia, neo-mamma, ex-capitana azzurra e nessuna intenzione di attaccare le scarpe al chiodo; la seconda è la figlia di Enzo, una passione sfrenata per la palla ovale fermata solo dalla scoperta di una malformazione cardiaca. «Nasce il rugby femminile a Mira, vieni a trovarci e prova anche tu», in un'epoca in cui nemmeno la Fir lo riconosceva (accadrà solo due anni più tardi), un invito del genere assomigliava tanto ad un tentativo a metà tra l'eccentrico ed il folle. «Eppure con tenacia siamo riusciti a costruire il primo nucleo di atlete, basato soprattutto su ragazze che dopo l'esperimento fallito a Mirano non ne volevano sapere di rassegnarsi», prosegue Loppo, attualmente dirigente assieme a Franco Pizzati, Caterina Prevedello e Elisabetta Lodolo. Due anni di assestamento, poi l'iscrizione al primo campionato federale («ma era raro riuscire a schierare una squadra al completo»), il lancio delle prime atlete in Nazionale e pian pianino le soddisfazioni pazientemente coltivate fino a trasformarle nei 5 scudetti.

Un romanzo collettivo scritto dalle tante vicende individuali che anche nella stagione appena passata lasciano il segno, come quella di Lidia Fanfoni, pendolare da Trieste tre volte alla settimana con forti probabilità di dover lasciare la squadra, perché di mestiere fa la ricercatrice universitaria con contratto a termine, e qui in Italia di prospettive non ne vede proprio. O le "gemelline" veneziane Elena Calderan e Martina Silvestri, che assieme alla compagna di squadra e di classe Giulia Ranieri Chiuso affronteranno gli esami di maturità da Campionesse d'Italia. Sugli spalti, il giorno della finale, c'era anche un loro coetaneo: era lì per vedere se la mamma, la quarantenne Silvia Sterzi, sarebbe entrata almeno qualche minuto.

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