De Respinis, una vita da general manager «Con Dalipagic i nostri anni d’oro»

l’intervista
Per trent'anni ha vissuto l'atmosfera della Reyer, si è affermato come uno dei migliori general manager del basket italiano, tra colpi di mercato e grandi risultati. Ora, a 75 anni, Franco De Respinis vive la sua passione alla Virtus Murano. Dalla storica Misericordia al palasport dell'Arsenale, da Haywood a Dalipagic. Di acqua sotto i ponti ne è passata nella sua vita dedicata alla palla con gli spicchi, e il suo è un libro che ancora oggi non intende smettere di scrivere anche se i ritmi sono diversi dal passato. «Alla Reyer arrivai nel 1966» ricorda De Respinis, «lavoravo alla Ligabue, e il mio titolare era il presidente orogranata dell'epoca. Restavo in ufficio fino alle 17 e poi per il club fino a mezzanotte. Il mio mentore fu Lelli. Quando venne a mancare divenni general manager».
Una vita alla Reyer, ma anche un brusco stop nel 1996. «Il fallimento del club l'ho vissuto fino in fondo e mi ha lasciato il segno. Ho imparato e ricevuto moltissimo in quegli anni, ma ho anche dato altrettanto».
Ha mai avuto la possibilità di lasciare Venezia?
«Sì, avevo tanti estimatori, mi chiamarono anche Verona, Fortitudo Bologna o Sassari, però vivevo a Venezia e lavoravo in una società storica, nella mia città...».
La sua Reyer più bella?
«Più che la più bella penso a quella che poteva contare su Spencer Haywood. Un giocatore immenso pari a pochi altri venuti in Italia. Ma era qui in ferie, fece tre-quattro partite da antologia e altre un po’ così. Gli anni di Dalipagic furono diversi. Lui era di livello mondiale ma anche una grandissima persona. Sapeva cosa poteva dare in una società e insegnava pallacanestro».
Il suo più grande colpo di mercato?
«Con il Messaggero Roma quando c'era Raul Gardini. Aveva dato in mano tutto ad Angelo Rovati che un giorno mi chiamò chiedendomi aiuto per uno scambio. La trattativa durò dalle 9 alle 22. A Roma andarono Gianolla, De Piccoli e Barbiero, da noi arrivarono Valente, Teso e Rossi più una barca di soldi».
La Reyer di oggi ?
«Quella attuale non l’ho mai vista al Taliercio per tanti motivi, nella pelle sento la mia vecchia Reyer. Non dico che questa non lo sia, la seguo in televisione, mi informo sui risultati ma mi fermo lì. Brugnaro comunque ha fatto non bene, di più. Ha preso in mano una situazione decisamente difficile al tempo, ha avuto la capacità di creare la società prima delle squadre. Poi anche il budget aiuta molto. All’epoca io dovevo vendere un giocatore buono, prendere due di prospetto e avanzare soldi».
Mai stato contattato dall'attuale dirigenza?
«All'epoca, ma non se ne fece nulla alla fine».
Una critica ?
«Solo a livello giovanile. Hanno investito tantissimo prendendo bravi giocatori, ma in prima squadra poi pochi ci arrivano davvero».
I vecchi derby Reyer-Mestre?
«Grandissime sfide, magari tornassero di nuovo. Celada mi disse: so che non abbiamo mai fatto affari, e so che se ne dovessimo parlare verresti con l’avvocato! Avevamo un rapporto splendido, ci si prendeva in giro e poi vinca il migliore. Lui conosceva benissimo il basket italiano, era la sua passione e professione».
Treviso è tornata in A.
«Un aspetto importantissimo. Una piazza che ha segnato almeno 15 anni di pallacanestro. Pensiamo alla Ghirada, al Palaverde e a una città che deve essere grata in eterno ai Benetton per un lavoro che va anche sul sociale. Vazzoler giocò con quella squadra e ora la presiede, ci sono i Pittis e un dirigente silenzioso ma bravissimo come Gracis. Lo soffiai proprio a Treviso quando giocava e aveva 19 anni».
Come vede il basket triveneto?
«È in crescita, e tornare ai fasti di tanti anni fa sarebbe stupendo, ma bisogna saper vivere anche i momenti. La crisi del Paese non ha aiutato, le sponsorizzazioni sono oggi difficili da trovare e va tutto messo nel contesto».
Il Basket Mestre in B?
«Manca di un lungo che faccia spazio sotto canestro e prenda rimbalzi, ne guadagnerebbe Lazzaro. Pinton lo conosco benissimo, lo lanciammo con i Bears, è bravo e se sta bene fa la differenza. Il Vega ha un allenatore di esperienza e potrà salvarsi tranquillamente. Sono stato felicissimo per il loro ripescaggio, è un bene per il movimento veneto».
Il basket italiano invece?
«Noto tanti giovani con poca voglia di sacrificarsi e affermarsi, e mancano dirigenti di livello per organizzare come si deve i club. Il basket oggi va gestito come un’azienda, ma fai basket, non vendi frigoriferi. Vedo bravi allenatori ma il livello tecnico è scaduto».
Cosa deve fare un bravo general manager?
«Avere tanta passione, voglia di imparare, esperienza nell’ambiente e dedicarsi anima e corpo. Lavoro pesante, toglie tempo alla famiglia, però se hai la passione devi seminare per raccogliere».
Ettore Messina?
«Era da noi alla Reyer con i ragazzini, non era emerso e Zorzi gli suggerì di allenare. Andò a Mestre e si è visto cosa ha saputo fare. Persona seria e intelligente, un carattere non facile, ma è unico in Italia».
E ora la Virtus Murano.
«Mi cercava da tempo. Per mia natura cerco di fare tutto al meglio, con i fratelli Tosi abbiamo parlato dei programmi e ho accettato volentieri. C'è voglia di crescere e stiamo facendo un buon lavoro. Il primo anno abbiamo vinto la C/2, il secondo siamo partiti con otto sconfitte e poi siamo arrivati terzi in C Gold. Ora abbiamo una squadra da alta classifica, un gruppo di bravi ragazzi". —
Simone Bianchi
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