Da campionessa a madre Fiona May chiede più futuro per le giovani

L’atleta pluripremiata si racconta e parla della figlia Larissa, una promessa che rischia di superarla nel record del salto in lungo 
RIESE PIO X ATLETICA FIONA MAY FOTOCRONACA RIESE ATLETICA CASTELLO GODEGO SUORE
RIESE PIO X ATLETICA FIONA MAY FOTOCRONACA RIESE ATLETICA CASTELLO GODEGO SUORE

MESTRE

Ha saltato più in là di tutte, ora guarda la figlia. E salta ancora: «Come una pazza. Però faccio il tifo da lontano: Larissa sa quanto urlo, ma sto attenta a non farmi vedere da lei», sorride Fiona May.

Ospite insieme a Jury Chechi al “Festival delle idee”, la detentrice del record italiano di salto in lungo ha acceso il pubblico di Mestre tra la sfida generazionale tutta in famiglia – «ma con Larissa non c’è nessuna rivalità», sottolinea – e quella che attende lo sport quando ripartirà davvero. «L'incertezza attorno a questa pandemia ha massacrato gli atleti: soprattutto per gli sport individuali, ci si è sempre allenati in vista di un obiettivo a cadenza biennale o quadriennale», il messaggio d’allarme. «Ora non è più possibile. Non resta che continuare ad allenarsi, anche quando le strutture non sono agibili. E guardare avanti: vedo mia figlia che sogna le Olimpiadi».

Larissa Iapichino ha 18 anni, è una promessa del salto in lungo e nell’estate 2019 ha registrato uno score di 6,64 metri: miglior prestazione italiana di sempre fra le Under 20, a soli 38 centimetri da mamma Fiona. «E se mi supererà sarà fantastico! Vorrà dire che terremo il record in famiglia», dice lei che, a dicembre, ne farà 51. «Io ho fatto il mio percorso, partendo dall’Inghilterra, Larissa è bravissima e sta facendo il suo nelle giovanili italiane. Ammetto di essere un po’ scioccata dai suoi progressi». L’equilibrio tra punto di riferimento ed esempio ingombrante non è facile da trovare. «Cerco di non mettermi in mezzo alle sue cose. Parlo con lei da mamma, non da ex campionessa», spiega May. «A volte mi chiede come ho fatto ad arrivare a questo, che fatica fare quell’altro. Io le rispondo sempre: allenandomi».

Tanto e su più fronti: «Prima dell’atletica facevo hockey, tennis e netball. Larissa invece è cresciuta con la ginnastica artistica per cinque anni». Accanto a Fiona, Chechi sorride: è stato lui ad allenare Larissa. «Sessioni dure, utili per la disciplina. E infatti lei oggi è cattiva come la mamma». Scorrono le immagini dell’oro mondiale di May, a Goteborg 1995. Scatta una vena di malinconia: non per il ricordo lontano, ma per il futuro della figlia.

«Ho fatto tanti sacrifici. Ma il mio unico rimpianto sarà essermi fermata all’argento olimpico», ammette la ex lunghista. «Anche mia figlia sta lavorando tanto, ma troverà più difficoltà: fa il liceo scientifico, vuole continuare a studiare e rimanere nel mondo dell’atletica agonistica. Combinare le cose in Italia è difficile». Soprattutto per una donna. «Alle ragazze si tende ad inibire un certo tipo di sport perché troppo “maschio”, con ripercussioni sul fisico femminile».

Qui Fiona si accende: «Spiegatemi la definizione di bellezza. Esiste davvero? Questo è l’errore di fondo: se una giovane donna diventa campionessa senza essere convenzionalmente bella, viene poco considerata. Ma rimane una campionessa».

Il problema è strutturale: «Il 50% dell’atletica italiana è composto da donne. E ci sono 42 federazioni sportive: nessun presidente donna. Così non mi sento rappresentata. Bisogna cambiare mentalità». A partire da una parola. «Programmazione. In Italia negli ultimi anni non c’è stata», insiste May, «Sono stanca di commentare ogni flop della nostra atletica se poi non si fanno gli investimenti giusti. Così i campioni rischiano di diventare meteore senza seguito nel movimento». Come la sua Larissa. «A volte mi fermano e mi dicono quant’è bella. Sì, ma è brava anche. Non è questione di geni, la mamma non c’entra. Le nostre ragazze cercano opportunità anche attraverso lo sport. È il momento di dargliele». —

Francesco Gottardi

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