Beggio, il dottore con lo scudetto «Amo tutti gli sport e ho il judo nel sangue»

l’intervista
Poteva sicuramente avere un futuro tinto d'azzurro nel mondo del judo, ma poi ha prevalso la grande passione per gli studi di medicina e conseguentemente una laurea conseguita nell'Università di Padova con successiva specializzazione in medicina fisica e riabilitativa che l'ha portato a ricoprire il ruolo di primario nel Policlinico San Marco di Mestre. Il dottor Michelangelo Beggio, è uno tra i medici fisiatra più conosciuti e stimati d'Italia e nel corso degli anni ha maturato una grandissima esperienza nell'ambito sportivo. Fin da bambino si era avvicinato al judo ottenendo eccellenti risultati in ambito nazionale e internazionale, prima come atleta e poi come insegnante per i bambini e gli agonisti. Con il tempo la professione medica l'ha costretto con una punta di rammarico ad abbandonare l'attività legata al judo. Però col passare degli anni si è riavvicinato al mondo dello sport e oggi ricopre la carica di medico sociale della Reyer Venezia dopo essere stato per quasi quindici anni sulla "panchina" del Calcio Venezia.
Lo sport ha sempre "viaggiato" parallelamente con la sua professione...
«Diciamo che sono un innamorato dello sport a tutto tondo. Ho il judo nelle vene e sono arrivato fino ad ottenere la cintura nera secondo Dan e oltre che atleta sono anche maestro di judo. Poi non nascondo che ho giocato anche a calcio, centrocampista, nell'allora squadra del Bar Verdi di Mestre e a tutt'oggi tifo con passione per il mio Milan che non sta attraversando un grande momento. Ho praticato anche lo sci con una certa disinvoltura e mi diletto a fare le gare sociali del Policlinico. Col tempo mi sono avvicinato alla medicina applicata allo sport e sono diventato socio aggregato della FMSI (Federazione Medici Sportivi Italiana)».
Quando è cominciata la sua collaborazione effettiva col mondo dello sport?
«Diversi anni fa con un centro medico-sportivo di Padova dove veniva usato un macchinario denominato Cybex 6000 che serviva per dei test di valutazione funzionale sugli atleti. C'erano in prevalenza giocatori del calcio Padova e pallavolisti. Poi ho iniziato a collaborare con il tennis al Green Garden di Mestre voluto dal presidente Fabio Sapori. Durante una delle edizioni del loro torneo internazionale ebbi modo di "curare" il tennista Juan Alonso il quale aveva un problema importante al polso. Morale si riprese e vinse addirittura il torneo. Durante la sera della festa per le premiazioni c'erano anche i dirigenti del Calcio Venezia che mi proposero di entrare a far parte del loro staff medico e così iniziò la mia avventura calcistica partendo dal settore giovanile per arrivare poi alla prima squadra. Una storia durata 15 anni condivisa all'inizio con il dottor Claudio Rigo.
Come vive un medico sportivo una partita in panchina?
«C’è uno stato emozionale che ti prende dal primo e fino all'ultimo minuto. Un effetto che ho provato in particolare con la squadra che venne promossa dalla C/2 alla C/1 quando come allenatore c'era Nello Di Costanzo».
A proposito qual è stato l'allenatore con il quale si è trovato più in sintonia?
«Ne sono passati tanti, con tutti il rapporto è stato di assoluto rispetto per ruoli e professionalità. Nomi? Di Costanzo, Prandelli, Iachini, Gregucci, D’Adderio, Serena. Ecco, con Michele Serena il rapporto sotto il profilo umano è stato eccezionale. Una bella persona».
Un ricordo legato ad un suo intervento durante una partita...
«Sicuramente l'infortunio subito da Mattia Collauto durante la partita Montecchio Maggiore-Venezia, in Serie D. Un infortunio al legamento crociato anteriore. Ricordo perfettamente le sue parole quando sono entrato in campo per verificare cosa gli era successo e mi disse... “Dottore, non sia mai detto che finisco la carriera sul campo di Montecchio...!”. Gli risposi di non preoccuparsi anche se mi ero reso conto che il problema era serio. Decidemmo di non operarlo subito ma portare avanti un programma riabilitativo che gli consentì di arrivare fino alla fine del campionato e subito dopo si fece l'intervento chirurgico».
Lei riesce subito a capire l'entità di un infortunio?
«Se si tratta di una cosa grave data anche l'esperienza maturata negli anni quasi sempre una prima diagnosi si può intuire. Vedi nel caso l'anno scorso del giocatore lituano della Reyer, Orelik Gediminas che durante la partita contro l'Armani Milano si è rotto il tendine rotuleo e in quel caso è bastato dare uno sguardo la ginocchio per capire l'entità del danno e non è un caso che non ha ancora ripreso a giocare».
Dal calcio, il passaggio al basket, alla Reyer.
«Dopo i quindici anni di collaborazione col Venezia e le innumerevoli trasferte domenicali volevo chiudere con questo tipo di avventure che portavano via molto tempo anche alla famiglia. Poi è arrivata Reyer, in un primo tempo avevo rifiutato ringraziandoli per l'offerta. Mi ha spinto ad accettare il collega Federico Munarin».
Quali differenze nel seguire calciatori e cestisti?
«Sono sport molto diversi. Il basket è più spettacolare, imprevedibile, anche se tutto lo sport ad alto livello è spettacolare compreso il judo che è sempre dentro il mio cuore. Le patologie a rischio sono diverse, nel basket gli infortuni prevalenti sono alle mani, schiena, spalle, caviglie, mentre nel calcio prevale sicuramente l'apparato muscolare e il ginocchio».
Quando succede un infortunio qual è la prima cosa che fa verso il giocatore?
«Cerco di rincuorarlo. Non fargli pesare l'infortunio soprattutto se si tratta di entità importante, è la prima regola. Devo entrare nel pensiero del giocatore, nel suo stato emozionale che diventa anche il mio. E questo è proprio il motivo fondamentale per cui ho scelto di svolgere questa professione. La mia specialità "vede" come prima cosa il recupero alla base di tutto e la medicina applicata allo sport è sicuramente diversa da quella tradizionale.
Un'ultima domanda che esula dalla medicina e dallo sport. Come vede il referendum per l'autonomia tra Venezia e Mestre?
«Voterò NO, a mio parere deve esserci un unico comune, un'unica grande città e abbiamo già la Città metropolitana. Ci sono già stati quattro referendum in merito, abbastanza chiari...». —
Valter Esposito
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia