Una notte a rincorrere la chiatta

Fotografata come una star, si fa perdonare tutto. La festa (con fischi) dei veneziani sui pontili e dalle rive 
VENEZIA. Eccolo qua il ponte, enorme e tostissimo, nato col ritardo incollato addosso e ora così veloce da trasformare l'eterna notte di Calatrava in una viaggio di un paio d'ore, però perfetto e disciplinato come un balletto. Il ponte è puntuale per la prima volta in vita sua e fila diritto come un fuso sbattendosene della tabella di marcia che lo voleva all'una davanti a Palazzo Balbi, alle due sotto il ponte di Rialto, alle quattro e trenta alla distanza di un bacio dalla terrazza dei Marinese e alle sei del mattino, infine, a destinazione. Sembra un suppostone di acciaio e i veneziani che pensavano tanto non arriverà mai e se arriverà ci metterà una vita, allora tanto vale che vado a cena, guardo un film, dormicchio e poi esco, ora lo rincorrono di pontile in pontile, da una riva all'altra, dall'Accademia a Rialto, da Rialto agli Scalzi nemmeno fosse Nicole Kidman che mostra la coscia.


Nella sua notte, il ponte che non ha ancora un nome recupera un credito che aveva perso in undici anni di attesa, con un costo che era triplicato e che a molti era sembrato più di uno spreco, un insulto alla miseria. Ora gli basta un niente, una chiatta di nome Susanna, un rimorchiatore che si chiama Marta (la Santa), gli operai lassù in alto sulla gru, i fari puntati sulla schiena dei due conci; ora probabilmente gli basta mostrare di esistere e di essere terribilmente forte, ma insospettabilmente delicato per cambiare il destino del suo gradimento.Non per tutti, però. Perché sul ponte di Rialto ci sono veneziani che lo contestano e coprono di fischi il sindaco che si agita su un motoscafo e più si agita e più diventa verde, e più diventa verde più gli gridano di dare i soldi alle case invece che ai ponti, però vabbè. Il Canal Grande è una tavola, come se fossero tutti scappati fuori dall'acqua per un'epidemia.

Sembra la notte dei mondiali di calcio o la notte prima degli esami. Una di quelle notti che piacciono a Ligabue in cui tutti sudano, tutti si incontrano, tutti corrono, tutti si fermano. Una notte in cui davanti a Ca' Farsetti i veneziani mettono in fila le sedie di paglia per godersi lo spettacolo come fossero all'arena di San Polo e Roberta Camerino rimane ore alla finestra del suo palazzo a Sant'Angelo, come facevano le castellane. Il ponte che i veneziani vedranno per intero solo tra quattro mesi si fa perdonare con l'effetto spettacolo che può, almeno per una notte, più dello scatafascio di polemiche che l'avevano sepolto per due lustri quando ogni giorno ne saltava fuori una. Troppo corto, troppo lungo, troppo pesante, troppo leggero, troppo caro, troppo sbagliato, troppo inutile. I due conci dinosaurici, che sono tutto fuorché una bellezza, diventano qualcosa che entra nei telefonini dei veneziani e nelle macchine fotografiche dei turisti. Un mostro buono di acciaio e fatica che è già souvenir, però di quelli non in svendita.

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