«Troppo occidentale», pestata in strada

PADOVA. Picchiata, offesa, umiliata. Perché è una ragazza che ha voglia di vivere la sua vita. Come ogni altra coetanea. Cos’ha di diverso lei? La religione che professa: appartiene a una famiglia musulmana di origine marocchina.
Vestita in jeans e bomber colorato come le sue compagne di scuola, con l’iPod nelle orecchie e le mani sempre indaffarate sull’ iPhone a mandare messaggi al mondo: ma il padre non accetta che sia una ragazza come le altre. Ieri all’ora di pranzo, in pieno centro cittadino, si è consumato l’ennesimo episodio di violenza. Su una donna. Su una figlia di appena 14 anni.
È circa mezzogiorno quando la ragazzina telefona a casa: dice di trovarsi in centro con i compagni di scuola con i quali desidera fermarsi un po’ visto che per uno sciopero le lezioni sono finite prima. Pochi minuti e in Riviera Ponti Romani, dove la quattordicenne sta aspettando l’autobus con gli amici, arriva il padre. Una furia. Le dà uno spintone per allontanarla dal capannello di coetanei a cui si rivolge con tono imperioso per chiedere se erano stati a scuola o se avevano marinato. Tutti confermano che le lezioni erano terminate prima per lo sciopero.
L’uomo torna dalla figlia, la prende per i capelli e inizia a trascinarla urlando offese, in italiano e in arabo. La ragazzina viene strattonata come un fantoccio, si abbandona sulle gambe che non la reggono più, arriva così fino ai portici di Coin in via Zabarella. Il padre la spinge con violenza e lei finisce a terra. Urla e si dispera. Una donna arriva in suo aiuto.
«L’ho sentita gridare, pensavo fosse stata rapinata, mi sono precipitata verso di lei» racconta la studentessa ventiquattrenne, «era inginocchiata e appena l’ho raggiunta si è appoggiata alle mie gambe.
L’uomo, che solo dopo ho capito essere il padre, continuava a insultarla. Diceva “Non diventerai mai come loro, non te lo permetto” e ancora “Vado in prigione ma non ti lascio fare quello che vuoi”. Indicava me e altre donne presenti». La situazione era più che delicata, esplosiva. Quel padre-padrone fuori controllo, che scaricava la sua rabbia e i suoi limiti sulla figlia. E una donna, quel modello diabolico da cui tenerla lontana, che le faceva scudo e la proteggeva. «Non ho pensato nemmeno un attimo che potesse farmi del male, non avrei mai lasciato quella ragazzina sola» assicura la studentessa, «mi sembrava di avere un uccellino ferito tra le braccia. Anche se spaventata e scossa, lei ha dimostrato grande coraggio. L’ha implorato di non picchiarla, minacciando di denunciarlo».
Ancora. Perché poi quella ragazzina pesta racconterà fra le lacrime che non è la prima volta che è vittima della brutalità del padre, mostra una cicatrice sul mento, marchio indelebile di un’altra aggressione. Dice anche che l’uomo ha un provvedimento restrittivo che non gli consente di avvicinarsi a lei.
Il mostro alla fine si allontana. Stanno per arrivare i carabinieri. La ragazzina viene accompagnata in un negozio dove alcune donne cercano di tranquillizzarla. Arriva anche l’ambulanza che porta al pronto soccorso pediatrico quella piccola vittima dell’ignoranza e del fanatismo. Un’altra.
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