Senza Alberto Trentini da 250 giorni: dal Venezuela nessuna risposta

L’attesa e la mobilitazione della famiglie e degli amici che continuano a organizzare iniziative per non far calare il silenzio sulle sorti del cooperante del Lido di Venezia detenuto in un carcere a Caracas

Eugenio Pendolini
Il corteo e lo striscione per Trentini il giorno del Redentore
Il corteo e lo striscione per Trentini il giorno del Redentore

Sono passati duecentocinquanta giorni dall’arresto di Alberto Trentini, l’operatore umanitario arrestato a novembre senza accuse formali, attualmente detenuto nel carcere di El Rodeo a Caracas, in Venezuela.

I continui appelli - l’ultimo dal ponte votivo del Redentore insieme ad Articolo 21 - hanno contribuito a tenere alta l’attenzione sulla vicenda. In questi mesi non si è mai arrestata la mobilitazione di amici e conoscenti a favore di Alberto Trentini.

La mobilitazione

La petizione lanciata online sulla piattaforma change.org ha ormai ampiamente superato le 100 mila firme. A inizio febbraio, davanti alla chiesa di Sant’Antonio al Lido di Venezia, dove vivono i genitori di Trentini, è stata organizzata dagli amici una fiaccolata. Lo scorso 11 aprile, invece, le remiere di Venezia hanno attraversato il Canal Grande in una grande manifestazione cittadina a sostegno della famiglia.

Le richieste dei familiari 

Ma i familiari, rappresentati dall’avvocato Alessandra Ballerini, chiedono passi avanti concreti alla diplomazia italiana.

Una richiesta ribadita dalla mamma di Alberto, Armanda Trentini, a metà luglio a Roma, davanti alla sede del tribunale dove era in corso un’udienza per il caso di Giulio Regeni: «Sono otto mesi esatti che mio figlio Alberto è in prigione. Ma tutto tace, e tace anche la nostra presidente del Consiglio. Questo silenzio per me e la mia famiglia è insostenibile. Non possiamo più aspettare: le nostre istituzioni dimostrino di avere a cuore la vita di un connazionale». Più volte, in questi mesi, fonti del governo italiano hanno confermato che negli ultimi tempi i rapporti sono stati costanti soprattutto con la diplomazia degli Stati Uniti.

Gli ultimi contatti

L’alone di silenzio intorno alla vicenda, però, continua a pesare come un macigno. L’ultima novità in ordine di data risale al 16 maggio: è la chiamata tra il 46enne e i familiari, la prima e unica dalla sua detenzione a El Rodeo I, in cui Alberto ha detto di stare bene e di essere in buone condizioni.

Da quel momento, il nulla. L’unica eccezione è rappresentata dall’intervista rilasciata ad Avvenire da un compagno di detenzione di Trentini, un uomo di origini svizzere le cui generalità non sono state rese note per motivi di sicurezza. «L’ho visto arrivare a Boleíta», sono state le sue parole, «nella direzione di Controspionaggio militare (Dgcim) dove io ero stato trasferito dopo un primo periodo a El Rodeo I. Due giorni dopo siamo stati trasferiti proprio lì, a El Rodeo, e ho potuto conoscerlo meglio.

Mi è parso simpatico sin dal primo momento: è un grande fumatore. Essendo figlio unico il suo pensiero era rivolto ai genitori, che hanno una certa età. Non merita di stare lì. E spero possa uscirne presto. Ai genitori di Alberto direi di avere pazienza e di non perdere la speranza. Alberto sta bene, fisicamente è a posto». L’ex detenuto svizzero non ha tuttavia nascosto le «orribili» condizioni di prigionia in una struttura «fatiscente» e senza igiene, con appena «45 minuti d’aria tre volte a settimana», e riferendo di essere stato liberato grazie a una trattativa condotta dal ministero degli esteri svizzero.

Il contesto del Venezuela

Nel frattempo, la situazione in Venezuela è in costante movimento. Nei giorni scorsi, 59 detenuti politici sono stati rilasciati dal governo Maduro grazie all’accordo raggiunto fra il segretario di Stato Usa Marco Rubio e il governo venezuelano per la liberazione di dieci cittadini statunitensi reclusi in Venezuela in cambio della scarcerazione di 252 migranti venezuelani illegalmente rinchiusi nel megacarcere salvadoregno Cecot (Centro di confinamento del terrorismo). 

 

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