Tra carta e social: il linguaggio della comunicazione. Parole da ripensare
A Jesolo un incontro sui media, i loro stili e le nuove frontiere del giornalismo. Una serata con i principali volti dell’informazione veneta

Media, linguaggio e pubblica opinione, al Kursaal di Jesolo l' evento organizzato dalla fondazione Monsignor Giovanni Marcato che ha spaziato su questi temi con gli esperti del settore.
"Cortocircuito, giornali, TV, social. Intrusi o alleati?" è il titolo e filo conduttore della serata cui ha partecipato il direttore dei quotidiani Gedi in Veneto (il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia e Mestre, la Tribuna di Treviso e il Corriere delle Alpi) Fabrizio Brancoli, il redattore capo de Il Gazzettino, Davide Scalzotto, il giornalista, autore e dirigente televisivo della Rai, Mario Maffucci, e il docente universitario, filosofo e social media manager di trasmissioni Rai, Bruno Mastroianni.
Subito il saluto del sindaco di Jesolo, Christofer De Zotti, tra l' altro considerato un "sindaco social”, che ha parlato della Jesolo intesa come comunità che vive l'ambivalenza della stagione frenetica e dell'inverno molto rilassato.
«Siamo un' amministrazione che comunica molto», ha detto, «nel rispetto della trasparenza come obbligo di legge. Gli strumenti oggi ci obbligano a comunicare e essere sempre sul pezzo. Dobbiamo quindi accettare le sfide della comunicazione come responsabilità, educando i giovani a recepire i messaggi. Carta stampata e social si intrecciano, e in questo contesto si rivaluta la carta stampata, con l'informazione tradizionale, come approfondimento».
Il conduttore di Gente Veneta, Giorgio Malavasi, ha sottolineato la mole di strumenti che abbiamo per comunicare con una percezione di disorientamento. Maffucci – padre di Fantastico e Domenica In - ha raccontato il dietro le quinte della RAI e la sua funzione storica e pedagogica di unificare un linguaggio.
Al direttore delle testate del gruppo Gedi Fabrizio Brancoli è arrivato l'invito a parlare di come è stata affrontata la guerra in Ucraina oggi raccontata con i nuovi strumenti: «Tra le evoluzioni della comunicazione, la guerra è un tema fondamentale nella storia. Noi dovremmo riconsegnare le parole sulla guerra al loro contesto.
Troppo spesso si usano parole con forzature lessicali. La rivolta dei commercianti, guerra in Consiglio comunale, albergatori sulle barricate. Richiami enfatici a quel mondo, ma poi arriva la guerra vera, vicina a noi.
Il primo gesto è restituire al vocabolario il suo contesto asciugando le suggestioni. Allora possiamo usare scontro, tensione o altro e sarebbe già un segnale. I giornalisti di carta stampata sono spesso conservatori nelle figure retoriche, ripetitivi.
La parola guerriero, ad esempio. Spesso usata per le persone che affrontano una malattia. Parola sbagliata, assieme a sconfitto, vinto dal male, non ce l’ha fatta. Poteva vincere? Poteva farcela? La guerra pervade le nostre parole soprattutto quando non c'è. E quando arriva si rischia di non essere preparati».
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