Quelle schiene cedevoli
Vedo il giornalaio uscire in campo dall'edicola a dir male del Consiglio comunale che, con tante cose da fare, perde tempo a parlare del ponte e del nome del ponte. E' l'ultimo grido della chiacchiera veneziana che si avvita su se stessa. Non più, alle solite, dire che non si fa, ma dire che non bisognava fare; e - sempre più virtuoso - parlare di quelli che stan lì a perdere tempo a parlare.
Gran successo davvero quello ottenuto dalla proposta che quest’estate mi ero sognato di fare: dare a un ponte nato per esprimere la modernità a Venezia un nome moderno. Subito qualcuno mi aveva giudiziosamente rimbeccato: Emilio Vedova è un pittore del «secolo scorso», quindi niente affatto appropriato. Quanto a me, avevo suggerito Vedova, ma mi sembrava andare altrettanto bene un altro grande artista veneziano, Luigi Nono, per identiche ragioni: l’idea - e la prova provata - di una città ancora viva, originale, attiva, non esausta ed esaurita nella memoria e nel far commercio della memoria di se stessa.
Ho rinunciato a proporre Nono, perché fra i nomi ipotizzati da qualcuno per il Ponte di Calatrava c’era già un minimalista «Quarto Ponte», il quarto - s’intende - sul Canal Grande. E così un eventuale «Ponte Nono» avrebbe aperto la via ad altri lazzi, e di frizzi e lazzi su questa malcapitata costruzione ce ne sono stati, mi pare, abbastanza. Io comunque non avevo nascosto - in quella lettera che la «Nuova» aveva promosso ad articolo di prima pagina - che mi spingeva anche il desiderio di evitare lo scontro fratricida che si profilava fra sante, Santa Chiara e Santa Lucia. Mi permettevo di osservare - quella volta molto più delicatamente che adesso, lo ammetto, ma esiste anche un diritto alla legittima difesa - che c’è tutta una processione di ponti, campi e calli con nomi religiosi che sono già presenti a Venezia e che ogni tanto si può anche guardare altrove. Ed eccomi servito. Non una santa, ma tutt’e due! Così a quanto pare, salomonicamente, sembrano avviarsi a decidere il Consiglio, la giunta comunale, la commissione Toponomastica. I seminari si svuotano, le chiese pure, ma il desiderio di compiacere le autorità ecclesiastiche cresce in maniera inversamente proporzionale.
Posso sfoggiare una vecchia frase latina, vecchia, ma sempre buona e anzi rinverdita dal conformismo degli atei «credenti» e da troppe schiene cedevoli di laici che si vergognano di sé? Questo è «ruere in servitium». E se il latino appare di troppo, diciamolo in altra maniera. Si diceva una volta che in Irlanda ci sono due partiti: uno che davanti all’autorità della Chiesa cattolica si mette in ginocchio; e l’altro che si sdraia. Non so se fosse e se sia vero per l’Irlanda. Temo che stia per ridiventare vero per l’Italia.
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