Privilegi di casta, la politica si assolve
Persi tempo e denaro per capire che gli sprechi sono altrove
VENEZIA. E’ finita con un’assoluzione piena la polemica veneta sui costi della politica. E’ stata sufficiente una seduta del consiglio per individuare i «veri» colpevoli, i responsabili dei reali sperperi del denaro pubblico. Che sono gli enti inutili ed i Cda multipli per finire con i giornalisti, nella fattispecie Gian Antonio Stella e il compare Sergio Rizzo che con il libro «La casta» avrebbero aizzato gli animi. Loro sì - ha avuto la spudoratezza di suggerire qualcuno all’assemblea - ci hanno guadagnato con i costi della politica. Talmente assurdo da far sorridere, se non fosse che in questo teatrino c’è ancora una volta un gabbato, il metalmeccanico separato e mai divorziato. Dal consiglio si aspettava un segnale, seppur minimo, ed invece ha rimediato l’ennesimo schiaffo: d’ora in poi i consiglieri potranno assicurare una vecchiaia serena alla compagna di un vita. Lui, al solito, no.
E invece che assottigliarsi il baratro si allarga. Sia chiaro: nessuno aveva la pretesa di veder polverizzare le differenze sociali con i consiglieri autoflagellanti che si riducevano gli stipendi a livello di un impiegato statale, ma nemmeno si aspettava di vedersi liquidare da un provvedimento strafottente in stile «siamo già bravi, che volete da noi?». Potevano dirlo subito - come ha detto lo stesso Galan - sostenere le proprie posizioni, se erano convinti della loro bontà, invece che gridare allo scandalo e promettere rivoluzioni che nessuno ha mai pensato di attuare. E invece, esaurito il sacro fuoco della propaganda, si sono limitati a cercare alibi e nuovi colpevoli, come i media, accusati di essere partiti in crociata, rintuzzati dai poteri forti. Su tutti Gian Antonio Stella, reo di aver individuato un «filone voyeuristico» lucrando sul momento di difficoltà dei politici: «Ce lo aspettavamo - risponde con un mezzo sorriso l’interessato - sono accuse che si commentano da sole. Purtroppo ci sono posizioni indifendibili. Noi, come tutti, vorremmo solo una politica diversa».
Indifendibile è anche la posizione della Lega moralizzatrice, che aveva proposto una mannaia dal sapore elettorale, prima di sprofondare in un silenzio di autocensura, su cui sorvola anche lo storico «eretico» del Carroccio. Forse ripreso per l’eccessiva schiettezza Giuseppe Covre dribbla l’empasse del suo partito forzando l’ipotesi di una provocazione: «Il problema non è nel «quanto» ma nel «quanti» - sostiene il leghista - ovvero quanti sono i consiglieri: ne basterebbero meno se avessimo la certezza che lavorano bene. Quando uno è ben pagato diventa anche possibile pretendere molto, innanzitutto che gestisca in maniera oculata le risorse a sua disposizione, senza permettere che finiscano sprecate, a maggior ragione in vista di un federalismo. Ma per questo serve il coraggio di misurare il rapporto tra costi e vantaggi e tagliare i rami secchi, come succede nelle aziende private». L’affondo riguarda quindi le multiutilities, le commissioni speciali, le aziende esterne, figlie della politica ma sui cui sprechi la politica si è sempre lavata le mani.
Fino ai ieri. «Ci sono molta ipocrisia e consociativismo - interviene il segretario generale della Cgil Veneto Emilio Viafora - la Lega in queste situazioni è forte in campagna elettorale ma non è altrettanto famosa per le battaglie successive. E’ necessario istituire una conferenza con le altre istituzioni, comprese l’Anci e l’Upi con cui individuare il sistema per abbattere i costi di funzionamento e quindi ridurre il numero dei Cda e dei manager, gli stipendi e accorpare le funzioni, fino ad arrivare a legare i compensi ai risultati. Quanto al provvedimento votato in consiglio, se volevano dare davvero un bel segnale dovevano rendere la legge immediatamente applicabile, invece di decide sempre per quelli che verranno». Come disse qualcuno doveva cambiare tutto perché nulla cambiasse. Peccato solo averci sperato.
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