Ora la gente dice: «C’è scritto sulla Nuova»
Un manipolo di giovani appassionati ha trasformato un’idea in un giornale solido e radicato

Lamberto Sechi, il primo direttore della «Nuova»
Sarà che adoro i compleanni, gli anniversari, le feste, ma quando il direttore mi ha chiesto un contributo per i 25 anni della Nuova, ho provato una grande gioia. Intanto perché quello che adesso è il direttore allora era un ragazzo come me e come tutti noi che abbiamo cominciato insieme quell’avventura.
Eravamo giovani spensierati, appassionati, instancabili, innamorati del nostro lavoro, convinti che fare informazione fosse una missione laica, certi che le nostre fatiche sarebbero servite ad aprire nuovi orizzonti. I ricordi di quegli anni sono per me i più belli della mia ormai lunga storia professionale.
Arrivavamo da esperienze diverse — molti di noi dal fratello Il Mattino, prima grande scuola — e sentivamo forte la responsabilità di quello che ci aspettava: sbarcavamo a Venezia, cuore di un impero che era saldamente nelle mani di altri; eravamo Davide contro Golia; eravamo come i Mille di Garibaldi, quattro gatti che sfidavano un esercito.
Ogni giorno dovevamo fare i conti con la forza del quotidiano al quale facevamo concorrenza: «C’è scritto sul Gazzettino», diceva la gente. Ed era tutto. Venticinque anni dopo, molte cose sono cambiate: in America, l’editore del New York Times ha affermato che l’ultima copia del glorioso quotidiano sarà venduta nel 2012, fra meno di tre anni. C’è Internet, i new media, le notizie che arrivano con un sms, i giornali di carta sono in crisi in tutto il mondo, anche se io non credo che siano destinati a scomparire. E anche se i numeri dimostrano che chi resiste meglio agli scossoni sono i quotidiani locali. Io non c’ero più, emigrata da un’altra parte, ma i colleghi in questi anni devono aver fatto davvero un buon lavoro se adesso, andando in giro per Venezia, capita di sentire dire: «C’è scritto sulla Nuova».
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