La fine del sogno per “don Piero” Parolin: «E le campane non le suoniamo»
Schiavon, il paese vicentino del cardinale, aveva iniziato a credere all’elezione: «Lunedì l’abbiamo sentito al telefono. Andremo a trovarlo presto»

Era il Veneto dei campanili, che sognava il Cupolone. Non che lo ammettesse. Perché in questa terra, dove lavoro e discrezione sono valori pari alla fede, pure le ambizioni sono un’inutile perdita di tempo. E però la selva di telecamere, l’incalzare delle domande lusingano anche i più coriacei. Che, poi, finiscono per “caderci”, in questa trappola di zucchero filato.
In questo bel sogno di paese, che si è concluso giovedì, poco dopo le sette di sera. Quando, di fronte alla perfezione del colonnato del Bernini, nel suo abbraccio delle migliaia di fedeli accorsi da tutto il mondo, si è presentato Robert Francis Prevost: papa Leone XIV.
È qui che la fede lascia lo spazio agli umani sentimenti. «Per questo nuovo papa, non le suono mica le campane» borbotta Angelo Cisotto, il sagrestano, allontanandosi dal sagrato, dove, fino a pochi minuti prima, aveva intrattenuto i giornalisti arrivati da tutta Italia.
Prima di andarsene, ci mostra giusto la tromba che aveva portato con sé, per festeggiare Pietro Parolin. È nel baule dell’auto, ancora nella sua custodia.
Ormai, davanti alla chiesa sono rimasti soltanto i cronisti. Giusto un manipolo d’abitanti, per le solite parole di circostanza. «Va bene lo stesso, va bene così. Andremo comunque a trovarlo» dice ad esempio Valentino Carli. Che, solo pochi minuti prima, si era commosso, immaginando quel suo vecchio compagno di classe affacciarsi dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro. Racconta quell’ultima telefonata, risalente a lunedì scorso, per un “terreno” in bocca al lupo al cardinale: «E lui aveva risposto “Speriamo nel buon Dio”».
E questo “segno divino”, poco prima, qualcuno lo aveva pure colto. Quando le campane avevano iniziato a suonare, mentre il portale della chiesa era ancora chiuso a chiave e il sagrestano era sul sagrato, con i cronisti.
«È stato un miracolo», la prima versione di Cisotto. Velocemente scivolata in una decisamente più prosaica, con un nome e un cognome: «Ha suonato al posto mio le campane per il nuovo Papa» racconta, trafelato. Ci saranno strascichi.
Ma è ancora il momento dell’incoscienza. Quando la nebbia, attorno al comignolo sulla Cappella Sistina, inizia ad addensarsi, colorando di bianco quello spicchio di cielo. E la gente inizia a radunarsi in maniera spontanea davanti alla chiesa.
Prem Boscolo è il titolare di uno studio dentistico, che dalla parrocchia di Santa Margherita dista un centinaio di metri. Sfoggia il suo sorriso e improvvisa il claim: «Se volete un sorriso divino, venite da me». Poi aggiunge: «Qui s’allarga il giro degli affari. Se Parolin sarà papa, dovremo pur inventarci qualcosa anche noi».
È un’ilarità contagiosa. «Anche al bar si sono montati la testa – ironizza una signora del posto – Oggi, con l’aperitivo, non mi hanno nemmeno portato le patatine. Si atteggiano già come se fossero a Vicenza». Si scherza.
L’Habemus Papam risuona dal cellulare del giornalista Rai. È il paradosso, per un paese che aveva allestito un maxischermo in tutti i suoi locali. E che, alla fine, si ritrova assiepato davanti a uno spicchio di vetro, a sbirciare l’affaccio su Piazza San Pietro.
«Negli ultimi giorni, erano arrivati un po’ come falchi, da tutta Italia, a cercare l’aneddoto su Parolin» racconta don Luigi Chemello, il parroco emerito, parlando dei nuovi “ospiti” del paese. E c’era chi la temeva tutta questa popolarità, con cui bisogna prendere le misure. Ma ora i riflettori si sono spenti su Schiavon. Le campane che suonano sono quelle della messa. E il campanile resta un campanile.
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